Zenit di Luca Marcolivio
A metà di una mattinata “un po’bruttina” per i continui rovesci di pioggia, papa Francesco ha tenuto l’Udienza Generale del mercoledì, meditando su un tema a lui caro: la Chiesa in cammino.
Dopo aver salutato come “coraggiosi”, i pellegrini giunti in piazza San Pietro, nonostante il maltempo, il Pontefice ha ricordato uno dei capisaldi del Concilio Vaticano II: “la Chiesa non è una realtà statica, ferma, fine a se stessa, ma è continuamente in cammino nella storia, verso la meta ultima e meravigliosa che è il Regno dei cieli, di cui la Chiesa in terra è il germe e l’inizio”.
Sono concetti, ha osservato il Papa, che quasi arrestano la nostra immaginazione, “capace appena di intuire lo splendore del mistero che sovrasta i nostri sensi”.
Ciò fa sorgere in noi delle domande: “quando avverrà questo passaggio finale? Come sarà la nuova dimensione nella quale la Chiesa entrerà? Che cosa sarà allora dell’umanità? E del creato che ci circonda?”.
Il Santo Padre ha quindi citato la Gaudium et Spes che ribadisce l’inconoscibilità del momento del Giudizio e, al contempo, la certezza che dalla «Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini» (GS n° 39).
Il Paradiso o la “Gerusalemme nuova” – come lo definisce la Bibbia – più che un “luogo” è uno “stato” in cui “le nostre attese più profonde saranno compiute in modo sovrabbondante e il nostro essere, come creature e come figli di Dio, giungerà alla piena maturazione” e in cui saremo “faccia a faccia” con Dio, rivestiti del Suo amore, della Sua “pace” e della Sua “gioia”, in modo completo, “senza più alcun limite”.
Il pensiero del Cielo, che un giorno, “tutti noi ci troveremo lassù”, ha commentato Francesco, “è bello” e “dà forza all’anima”.
Ci sono poi “una continuità e una comunione di fondo tra la Chiesa celeste e quella ancora in cammino sulla terra”. Chi è già al cospetto di Dio può “sostenerci e intercedere per noi, pregare per noi”, mentre noi, qui sulla Terra, “siamo sempre invitati ad offrire opere buone, preghiere e la stessa Eucaristia per alleviare la tribolazione delle anime che sono ancora in attesa della beatitudine senza fine”.
Nella prospettiva cristiana, ha spiegato il Papa, “la distinzione non è più tra chi è già morto e chi non lo è ancora, ma tra chi è in Cristo e chi non lo è”: ciò determina “la nostra salvezza” e “la nostra felicità”.
Il compimento del “disegno meraviglioso” indicato dalla Sacra Scrittura “non può non interessare anche tutto ciò che ci circonda e che è uscito dal pensiero e dal cuore di Dio”. Come afferma San Paolo, tutta la creazione «sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
Una “nuova creazione”, quindi, “è già in atto a partire dalla morte e risurrezione di Cristo”, non per portare “un annientamento del cosmo e di tutto ciò che ci circonda” ma perché ogni cosa giunga “alla sua pienezza di essere, di verità, di bellezza”.
In conclusione, papa Francesco ha ricordato come le “stupende realtà che ci attendono”, ci fanno comprendere “quanto appartenere alla Chiesa sia davvero un dono meraviglioso, che porta iscritta una vocazione altissima”.
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