VATICANO – Siamo chiamati a trasmettere fedelmente al mondo il Vangelo di Gesù Cristo”, perché “la missione primaria della Chiesa è l’evangelizzazione”, in una società “che sta cambiando in modo drammatico” ed è alle prese “con una drastica riduzione della pratica della fede tra coloro che sono già battezzati”. È l’invito rivolto dal card. Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington e relatore generale del Sinodo dei vescovi, durante la relazione prima della discussione con cui si sono aperti oggi i lavori in Vaticano. Prima della relazione introduttiva Benedetto XVI si è rivolto ai vescovi con una meditazione a braccio, dopo la lettura e l’Inno iniziali: “Il cristiano non deve essere tiepido”, perché “la tiepidezza discredita il cristianesimo”; al contrario, ha ribadito il Santo Padre, “la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere; diventa grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione”. Per il Papa, Dio solo “può creare la Chiesa”, e “quando noi facciamo nuova evangelizzazione è sempre cooperazione con Dio”.
Un faro di luce. “Una delle sfide che oggi fa crollare la nuova evangelizzazione e allo stesso tempo crea una barriera è l’individualismo”, ha precisato il card. Wuerl, secondo il quale “la nostra cultura e l’enfasi in gran parte della società moderna esaltano l’individuo e minimizzano il necessario rapporto di ognuno con gli altri”. “Nella nostra società, che esalta la libertà individuale e l’autonomia, la realizzazione e la supremazia della persona, è facile perdere la nostra dipendenza dagli altri, insieme alle responsabilità che abbiamo nei loro confronti”, ha ammonito il relatore generale. Da parte sua, “la Chiesa non si stanca mai di annunciare il dono che ha ricevuto dal Signore”, perché “l’evangelizzazione è proprio al cuore della Chiesa”, come ci ricorda il Concilio e in particolare la “Lumen Gentium”, “testo e nucleo fondamentale del messaggio del Concilio sulla vita della Chiesa”. “Noi non siamo solo discepoli, noi siamo evangelizzatori”, ha spiegato il cardinale, secondo il quale un’altra risorsa preziosa a cui attingere per “riproporre il Vangelo” agli uomini di oggi è il Catechismo della Chiesa cattolica, “un faro di luce in quello che, purtroppo, è diventato in troppi casi il buio dell’ignoranza religiosa”.
Difficoltà e segnali positivi. “Ciò che oggi distingue la nostra fede cattolica – ha esordito il porporato – è la comprensione che la Chiesa è la presenza permanente di Cristo, la mediatrice dell’azione salvifica di Dio nel nostro mondo, e il sacramento degli atti salvifici di Dio. La separazione intellettuale e ideologica di Cristo dalla sua Chiesa è una delle prime realtà che dobbiamo affrontare nel proporre una nuova evangelizzazione della cultura e della società moderna”. “La secolarizzazione – ha affermato il relatore generale soffermandosi sui motivi della ‘drastica riduzione della pratica della fede tra coloro che sono già battezzati’, come fenomeno che non riguarda solo le chiese di antica tradizione, ma anche le ‘società evangelizzate più recentemente’, come i Paesi del terzo mondo – ha modellato due generazioni di cattolici che non conoscono le preghiere fondamentali della Chiesa. Molti non percepiscono il valore della partecipazione alla messa, non ricevono il sacramento della penitenza e spesso hanno perso il senso del mistero o del trascendente”. Tutto ciò ha fatto sì che “una grande parte di fedeli fosse impreparata ad affrontare una cultura caratterizzata dal secolarismo, dal materialismo e dall’individualismo”. Non mancano, però, segnali “positivi”, ad esempio da parte dei giovani insoddisfatti delle “risposte” del mondo laico alle loro domande, o della famiglia tradizionale, spesso sottovalutata o ridicolizzata dalla società contemporanea, mentre ancora “rappresenta il contesto naturale e normale per la trasmissione sia della fede che dei valori, ed è quella realtà a cui spesso si ritorna per sostegno durante tutta la vita”.
Attenzione ai “vicini”. Oggi, è dunque la tesi del relatore generale, “i nostri sforzi per diffondere il Vangelo non ci portano più necessariamente in terre straniere e verso popoli lontani. Coloro che hanno bisogno di sentir parlare di Cristo sono vicini a noi, nei nostri quartieri e nelle nostre parrocchie, anche se i loro cuori e le loro menti sono lontani da noi. L’immigrazione e la diffusa emigrazione hanno creato un nuovo ambiente per l’evangelizzazione”. “I missionari della prima evangelizzazione – ha fatto notare il card. Wuerl – hanno coperto immense distanze geografiche per portare la Buona Novella. Noi, missionari della Nuova evangelizzazione, dobbiamo superare distanze ideologiche altrettanto immense, spesso prima ancora che usciamo fuori del nostro quartiere o della nostra famiglia”. Di qui la necessità, per i credenti, di “superare la sindrome dell’imbarazzo”, a favore della “volontà e il desiderio di condividere la fede” anche con chi se ne è allontanato o è in ricerca. “La nostra sfida – ha detto il cardinale – è quella di smuovere e riaccendere nella loro vita quotidiana e nelle situazioni concrete, una nuova consapevolezza e familiarità con Gesù. Siamo chiamati non solo ad annunciare, ma a migliorare il nostro metodo in modo da attrarre e sollecitare un’intera generazione a ritrovare il tesoro semplice, genuino e tangibile dell’amicizia con Gesù”.
Fiducia e testimonianza. “La nuova evangelizzazione non è un programma”, ma “un modo di pensare, di vedere e di agire”, ha puntualizzato il cardinale”, e “inizia con ciascuno di noi”, dalla nostra capacità di ritrovare “una nuova fiducia nella verità del nostro messaggio”. Una fiducia, questa, “per troppo tempo erosa dalla sostituzione di un sistema di valori laici che negli ultimi decenni si è imposto come uno stile di vita superiore e migliore rispetto a quello proposto da Gesù, dal suo Vangelo e dalla sua Chiesa”. “Il nostro messaggio oggi deve essere radicato nella testimonianza della vita”, perché “questi sono i momenti per accogliere e non per allontanare”, ha concluso il relatore generale, soffermandosi sulla “necessità di parlare con convinzione ad una comunità piena di dubbi circa la verità e l’integrità di realtà come il matrimonio, la famiglia, l’ordine morale naturale e la distinzione fra bene e male”.
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