Un altro Muro – e che Muro! – è crollato. Non sotto i colpi di piccone o per una rivoluzione violenta, ma grazie ad una paziente tela di relazioni intessute personalmente da un Papa. A dimostrazione che a certi livelli altissimi di decisione politica conta – eccome – la qualità dei rapporti umani. La capacità di aprire le braccia all’altro, la sensibilità nel trovare le parole giuste per aprire un varco nel cuore e nella mente, la semplicità dell’approccio con una telefonata e una lettera (quanto c’è di più antico nella comunicazione?), la credibilità personale, il disinteresse assoluto, la sollecitudine per chi soffre. Tutte condizioni che fanno di Papa Francesco un sincero artigiano della pace nel “suo” continente e nel mondo. Una pagina di pace, quella scritta il 17 dicembre del 2014, costruita per tutti gli americani da tre americani: l’argentino Bergoglio, il cubano Raul Castro e lo statunitense Barack Obama. C’è da essergliene grati, perché è la dimostrazione che la pace è ancora possibile. E soprattutto senza vincitori e vinti.
La ripresa delle relazioni tra gli Stati Uniti e Cuba, la chiusura di una lunghissima ed estenuante Guerra Fredda, il reciproco riconoscimento del tempo perduto, sono il miglior viatico per tutti i costruttori di pace. E ci restituiscono la speranza, all’alba di un nuovo anno che vede intere regioni del mondo segnate dalla violenza, di poter essere testimoni del crollo di tanti altri Muri dell’odio.
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