Zenit di Luca Marcolivio
Il Vaticano è pieno di persone che svolgono il loro lavoro umilmente e nell’ombra: giardinieri, addetti alla pulizia, uscieri, capiufficio, ascensoristi, minutanti.
Grazie al loro “impegno quotidiano” e alla loro “premurosa fatica”, la Curia Romana “si esprime come un corpo vivo e in cammino: un vero mosaico ricco di frammenti diversi, necessari e complementari”.
Lo ha detto papa Francesco, ricevendo in udienza i dipendenti della Curia per gli auguri natalizi. Essendo la Chiesa un corpo (cfr 1Cor 12,21-25), “quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie – pensiamo agli occhi – e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto”, ha detto il Pontefice, citando San Paolo ed alludendo al lavoro ‘poco appariscente’ svolto dai dipendenti.
La parola “Curia”, ha aggiunto il Santo Padre, fa riferimento alla “cura”, ovvero all’“interessamento solerte e premuroso, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività, verso qualcuno o qualcosa”, come fa, ad esempio, la “mamma che cura il suo figlio malato, con totale dedizione, considerando come proprio il dolore di suo figlio”.
Ringraziandoli per lo zelo dimostrato nel loro lavoro, Francesco ha esortato i dipendenti della Curia Vaticana a curare ancora di più la propria “vita spirituale” e il proprio “rapporto con Dio”, assieme alla propria vita familiare e ai “rapporti con gli altri”.
Il Papa ha messo in guardia i dipendenti “dalle volgarità e dal frasario di decadenza mondana, purificando la lingua dalle parole offensive” e li ha esortati a “curare le ferite del cuore con l’olio del perdono”.
Vanno curati, ha aggiunto, anche l’“invidia” e gli altri “sentimenti negativi che divorano la nostra pace interiore e ci trasformano in persone distrutte e distruttive”, come, ad esempio, il “rancore che ci porta alla vendetta, e dalla pigrizia che ci porta all’eutanasia esistenziale”, o la lamentela incessante “che ci porta alla disperazione”.
Quando talora “si sparla di qualcuno”, con lo scopo di “difendersi” o di “conservare il lavoro”, alla fine “saremo tutti distrutti tra noi”. Meglio, al contrario, “chiedere al Signore la saggezza di saper mordersi la lingua a tempo, per non dire parole ingiuriose, che dopo ti lasciano la bocca amara”.
È importante anche “curare i fratelli deboli”, ovvero gli anziani, i malati, gli affamati, i senzatetto e gli stranieri perché su questo saremo giudicati”, evitando che il Natale sia “una festa di consumismo commerciale, dell’apparenza o dei regali inutili, oppure degli sprechi superflui”.
Ai dipendenti che hanno figli, il Pontefice ha suggerito di trascorrere più tempo e “giocare” con loro: questo è un modo per “seminare futuro”.
Se iniziassimo tutti quanti a mettere in pratica la “regola d’oro del Vangelo”, ovvero le Beatitudini, “il nostro mondo cambierebbe”, ha detto il Papa, tuttavia, molto spesso, “abbiamo paura della tenerezza” e “dell’umiltà”.
La pace di Cristo, ha aggiunto, “ha bisogno del nostro entusiasmo, della nostra cura, per riscaldare i cuore gelidi, per incoraggiare le anime sfiduciate e per illuminare gli occhi spenti con la luce del volto di Gesù!”.
In conclusione, il Santo Padre ha rivolto una richiesta di perdono “per le mancanze, mie e dei collaboratori, e anche per alcuni scandali, che fanno tanto male”.
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