Per gli amanti del calcio il 2014 sarà ricordato come l’anno della “Copa do mundo” in Brasile, della prima vittoria di una squadra europea – la Germania – in America Latina, della pessima figura dell’Italia e della Spagna, delle bellissime spiagge tropicali di Rio, Cobacana, Ipanema, con il Cristo Redentore che guarda la stupefacente bellezza della “città meravigliosa” dall’alto.
Per l’opinione pubblica che non segue il calcio, Rio 2014 evocherà le proteste di piazze della popolazione sotto lo slogan “Não Vai Ter Copa!”, che fortunatamente non si sono ripetute, come si temeva, in maniera così forte e drammatica durante lo svolgimento dei Mondiali. Certo, c’è stato uno schieramento impressionante dell’esercito, con arresti preventivi e fermi di alcuni manifestanti. Sono state “ripulite” le favelas in modo discutibile, e la nota attitudine alla repressione non è ancora un vizio superato tra le forze dell’ordine.
Intanto il Brasile ad ottobre è andato alle urne e ha scelto di rinnovare per altri quattro anni il mandato della presidente Dilma Roussef, del Partito dei lavoratori. A lei, che è riuscita ad uscire indenne dal Mondiale delle polemiche e dei ritardi, spetterà il compito di traghettare il Brasile verso un altro fastoso e rischioso appuntamento sportivo mondiale: le Olimpiadi 2016 che si terranno a Rio de Janeiro dal 5 al 21 agosto, intorno al quale stanno già montando critiche, peggiori di quelle per i Mondiali.
La popolazione brasiliana non ha festeggiato per la vittoria della Coppa del mondo come sperava. E non festeggerà per aver visto migliorare la propria situazione sociale. Chi protestava chiedeva più strutture sanitarie, maggiore efficienza nei trasporti, migliore qualità del sistema scolastico, meno microcriminalità, più servizi pubblici.
È vero, ed è incontestabile, che negli ultimi governi Lula e Roussef il Brasile è cresciuto economicamente e tanta gente è riuscita ad uscire dalla fame e dalla povertà estrema grazie ad importanti programmi sociali come “Fome zero” e ora “Bolsa familia” (che dà sussidi ai capofamiglia che non lavorano). Alcune stime parlano di almeno 50 milioni di persone uscite dalla povertà nell’ultimo decennio.
Ed è anche immediato e visibile l’emergere, negli ultimi anni, di una classe media che si è fatta subito incantare dalle lusinghe del consumismo, tant’è che c’è una corsa sfrenata a spendere quei pochi reais del salario medio in lavatrici, televisori, motociclette, automobili, i primi comfort che molta gente riesce a vedere dopo anni di privazioni.
Secondo alcuni critici ci vorranno almeno altri 50 anni per riuscire a ridurre le disuguaglianze sociali. Oggi il Brasile conta 200 milioni di abitanti. Il 6% della popolazione vive ancora nelle favelas, senza acqua o fognature, in abitazioni poverissime e nel degrado generale. Milioni sono ancora analfabeti, milioni non hanno un ospedale dove curarsi. Centinaia di migliaia sono senza terra, senza casa, senza diritti, oggetto di discriminazioni sociali.
Chi protestava contro la Coppa del mondo chiedeva che i soldi spesi per gli stadi, le infrastrutture e l’indotto fossero invece destinati a progetti sociali a più lungo termine. Il governo aveva promesso che la maggior parte del denaro sarebbe arrivato dagli sponsor. Invece, anche se le stime sulla spesa complessiva sono discordanti, pare che ogni 9 dollari spesi, almeno 8 fossero soldi pubblici, prestati o donati. Chi ha tratto i maggiori vantaggi è stata ovviamente la Fifa, con profitti pari a oltre 4 miliardi di dollari.
Nello spazio tra questi due grandi eventi – i Mondiali e le Olimpiadi – la popolazione brasiliana rimane insoddisfatta. A chi sostiene che comunque grazie a queste iniziative girano soldi e si creano posti di lavoro, gli operatori sociali – che conoscono bene i disagi della popolazione -, ribattono che non serve a nulla dare lavoro solamente in queste occasioni, per giunta con salari irrisori in tutte le categorie (perfino alle forze dell’ordine), perché non si crea occupazione vera e si alimentano, al contrario, lo sfruttamento e la corruzione. Il gigante dai piedi d’argilla riesce a camminare nonostante tutto, ma ha davanti una grande sfida a livello sociale interno.
Dovremo aspettarci, da qui al 2016, “Não Vai Ter Olimpìadas” e tutto ciò che ne consegue? Qualcuno on line ci sta già pensando.
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