Il romanzo “Il colore prima del blu”
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La luce del mattino si posa delicata sul mio viso. Apro gli occhi e mi sorprendo della presenza di Anna sul divano. La sveglio, sussulta e si tappa la bocca per strozzare un grido: come l’alba ci ha sorpresi, così anche i suoi genitori scopriranno la sua assenza. Ma poi ci rendiamo conto che la luce del giorno raggiunge il mare, il paese e le nostre stanze leggermente prima che il sole affiori all’orizzonte.
‹‹Non sono nemmeno le sei. I tuoi genitori staranno ancora dormendo,›› dico. Così decidiamo di prolungare ancora un po’ la nostra prima notte insieme. Il profumo del caffè rende intimo il risveglio. Con le gambe incrociate sul divano, Anna sorseggia l’aroma nero della moka. Il mattino ci restituisce alla quotidianità.
‹‹Se penso a ieri sera mi vengono ancora i brividi,›› le dico.
‹‹Abbiamo esagerato. Mi hai trascinato in una storia assurda. Io non volevo… L’unica speranza è che siano i miei genitori a farsi vivi, ormai.›› Scuote la testa e i suoi capelli le cadono davanti agli occhi. Li lascia lì, riprendendo a sorseggiare il caffè. ‹‹Il mio fermacapelli? Ce l’hai ancora?›› mi chiede.
Comprendo che vuole lasciarsi alle spalle la sua storia.
‹‹Tra qualche giorno devi restituirmelo,›› continua.
‹‹È vero! Ti avevo promesso di ridartelo la notte prima della tua partenza, ma ora non so più se voglio mantenere la promessa.››
‹‹Quella notte sarà speciale: accadranno tante cose.»
‹‹E chissà quante altre cose potrebbero accadere!?›› dico.
Le vie sono deserte e umide, all’alba. È come se fossimo rimasti solo noi, “noi uno”, e tutte le nostre sofferenze fossero scomparse. Intanto la bici corre silenziosa e veloce. I capelli di Anna si sollevano al vento della corsa. La sensazione del volo non è per la leggerezza della bici in discesa, ma è per il senso di libertà che proviene da noi.
L’Hotel Riviera è ancora assonnato. Anna scende dalla bici, mi dà un bacio frettoloso. In punta di piedi si avvicina alla finestra. Lascio cadere la bici a terra. Ci guardiamo intorno. Non passa nessuno. La sollevo e lei entra dentro la stanza. Poi si affaccia e con un bisbiglio, che arriva come un soffio di vento, mi chiede:
‹‹Perché non vuoi ridarmi il fermacapelli?››
Sorrido perché so che ormai è diventato un gioco.
‹‹A Roma! Verrò a Roma a riportartelo.››
Resta zitta lei, ma, prima di andarsene, mi manda un bacio con la mano. Giro la bici e il sole appena sveglio mi ferisce lo sguardo.
La mattina si scalda presto al sole. Il fruttivendolo, sotto la tenda bianca e verde, sistema casse di pomodori sulla bancarella del negozio. Fischia una filastrocca e, quando mi vede, mi fa un cenno con la testa per salutarmi. I turisti più mattinieri già ciabattano verso il mare. Don Piero è di ritorno dal molo. Tiene il libricino delle lodi in mano. “Festa e balli per la bomba” leggo sulla locandina dell’edicola. Mi fermo, sbircio il giornale: il Sindaco in occasione del disinnesco della bomba ha indetto una festa di paese in collina.
‹‹Sempre più mattiniero,›› mi dice don Piero.
‹‹Già!›› rispondo.
‹‹Un mio vecchio amico diceva che ama l’alba chi ha un sogno da realizzare. E lui non aveva mai visto quanto è bella l’alba di qui! Altrimenti non so cosa avrebbe potuto dire…» Fa una pausa, mette un segno sul suo libricino e poi continua: «Nella nostra città le vie sono soffocate dai palazzi e all’ora di pranzo il sole ancora non si vede. Da noi l’alba è grigia, eppure, a volte, ne ho nostalgia.››
Mi prende sotto braccio e facciamo un po’ di strada insieme.
‹‹Tuo padre era mattiniero: lo incontravo spesso. Diceva che la mattina ha luce più favorevole per fare le foto.››
‹‹Sì, lo so, me lo ricordo.››
‹‹Spesso si portava anche tua madre. In fondo, la bellezza dell’alba a che serve, se non hai nessuno con cui condividerla? E una foto a che serve, se non hai nessuno che ti aspetta a casa per mostrargliela? L’amore ha il potere di dare un sapore nuovo ai sogni.››
Anna ha proprio questo potere: restituire significato alla mia vita, me ne accorgo ma non lo dico.
Il profumo del pane appena sfornato invade le viuzze del paese. Entro da Emma, non c’è nessuno: neanche lei. Mi affaccio nel retrobottega. Il signor Alfredo è in piedi e sta uscendo. Emma è seduta al tavolo con un foglio in mano.
‹‹Buongiorno,›› dico.
Il signor Alfredo scansa le corde della tendina, mi passa vicino, borbotta un saluto accendendosi una sigaretta e scompare sulla via. Quando se ne è andato, chiedo a Emma cosa stava facendo il signor Alfredo nel suo retrobottega.
‹‹Bello mio, io do speranza alla gente del paese. Qui nessuno si preoccupa di far felici le persone. Invece a volte basta così poco… Una preghiera, un mazzo di carte, una medaglietta…››
‹‹Di cosa ha bisogno il signor Alfredo? Non è felice?››
‹‹La sai la storia del figlio che se ne è andato?››
‹‹Sì e allora?››
‹‹E allora… ehi ma per chi mi hai preso? Non sono una pettegola, io! Per le chiacchiere vai dalle pescivendole giù alla pescheria. Che ti serve? Un cornetto? Tieni, te lo regalo: su, vai ora. Vai! Sciò!››
‹‹Emma! Aspetta! Sono venuto per parlare di quello che è successo al cimitero…››
‹‹Al cimitero? Non c’è niente da dire. Vattene per favore! Tu vuoi scherzare con le anime morte, ragazzo!? Vattene!››
È la prima volta che Emma la fornaia mi tratta male. Il cornetto è buono, ma il boccone amaro. Al ristorante, il signor Alfredo è già al lavoro, non mi parla e non mi guarda neanche.
‹‹Metto i coprimacchia?›› chiedo.
‹‹Controlla le tovaglie! Ce ne sono alcune sporche; sono da cambiare,›› mi dice mentre, girato di spalle, toglie le tele di ragno dalla finestra. Non mi muovo e vorrei chiedergli se va da Emma soltanto per comprare il pane o ci va anche per altro. Pensavo che farsi leggere le carte o togliersi il malocchio fosse una cosa per persone deboli, per le donne del paese, non certo per un uomo risoluto come il signor Alfredo. Lo osservo mentre è in bilico sulla sedia e mi rendo conto che tutti hanno una ferita sempre aperta da far rimarginare, anche gli uomini che ci appaiono duri.
In cucina, Marta pulisce l’insalata. Mi avvicino e il suo volto è teso.
‹‹Ti senti male?›› le chiedo.
‹‹Michele caro, sei proprio caro. Non sto male. È solo un po’ di tristezza. A te non viene mai un po’ di tristezza?››
‹‹Sì, ma la tristezza non viene mai senza motivo… C’è un motivo, vero Marta?››
Lei alza la testa e mi fissa con le lacrime agli occhi. Sta per dirmi qualcosa, ma poi si ferisce con il coltello e corre in bagno.
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