Il colore prima del blu


Il romanzo “Il colore prima del blu”
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Sono le sei del mattino e l’insonnia mi si struscia ancora contro. Scendo in sala per un caffè. Su un tavolino c’è un foglio, una penna, una tazzina ancora calda e una sigaretta accesa. Leggo: ‹‹Cari mamma e papà, fremo nel raccontarvi l’avventura che ho vissuto in quest’ultimo mese. Come sapete…››
Alzo il foglio, lo giro, cerco di capire, ma non c’è scritto altro. Lo poso e rimetto tutto come ho trovato. Entro in cucina. Non c’è nessuno, ma dalla porta a vetro scopro il signor Alfredo sedersi a quel tavolo, accendersi una nuova sigaretta, prendere la penna e scrivere. Dopo un po’ si alza con il foglio in mano. Lo rilegge, lo piega, lo imbusta e se ne va. Esco dalla cucina, prendo la tazzina di caffè del signor Alfredo e la metto nel lavandino. Mi preparo un cappuccino, ma non c’è nulla da mangiare. Entra Marta e mi saluta con grande affetto. Dice che a giorni dovrebbe arrivare la nuova lettera del figlio e l’attesa la riempie di gioia. Fingo empatia, la saluto con un bacio sulla guancia. Scopro che alla mattina profuma di donna mentre alla sera di cucinato. Esco che c’è ancora nebbia, i rumori sono ovattati e le ossa bagnate.

La serranda del forno è già alzata, ma la porta è chiusa. Busso e dopo alcuni minuti Emma viene ad aprirmi.
‹‹Mattiniero oggi, ragazzo mio. Pene d’amore?››
‹‹Volevo un cornetto caldo.››
‹‹A quest’ora? Vabbè, aspettami qui che te lo vado a prendere.››
Emma entra nel laboratorio; la seguo. La porta del retrobottega è socchiusa. Una sigaretta brucia lenta su una formina per i dolci. Scosto la porta, il fumo fa una piroetta per lo spostamento d’aria. Una lettera è appoggiata sul tavolo, mi avvicino e scopro che è la lettera che stava scrivendo il signor Alfredo. Riaccosto la porta e torno in negozio. Il bancone è ancora vuoto. Il profumo del pane è dolce. Emma ci mette un po’ ad arrivare e io fremo: devo sapere!
‹‹… Ma non dire sciocchezze, ragazzo mio. Non è venuto nessuno. Tu sei il primo cliente della giornata,›› mi dice con sufficienza.
Vado nel retrobottega, prendo la lettera.
‹‹Cos’è questa? Mi devi spiegare tutto, sennò faccio un casino!›› La mia voce si sovrappone al suono del faro.
Emma mi prende per un braccio e mi porta di là.
‹‹Siediti! Non ci si guadagna nulla a sapere la verità, ragazzo mio. Anzi, a saperla a volte peggiora la vita, ma se tu insisti sono fatti tuoi ed eccola servita: il figlio di Marta, da quando se ne è andato, non ha mai scritto una riga. Marta era disperata. La loro vita era diventata un inferno. Veniva spesso da me a farsi leggere le carte. Le carte parlavano di paesi lontani, di guerre, di fame. Ma anche di tanta nostalgia e voglia di tornare. Loro si rincuoravano. Dopo alcuni anni le carte non bastarono più a Marta. Proposi ad Alfredo di scrivere delle lettere per conto del figlio. Ora Marta è felice. La vedi come sta bene? Quando arriva una nuova lettera lei sprizza di gioia.››
La guardo negli occhi. È la prima volta che lo faccio e mi fanno paura. Sbatto un pugno sul tavolo ed esco via di corsa.

Vado dalle pescivendole. Prendo quello che aveva ordinato il signor Alfredo.
‹‹Sai che si dice Michè su don Piero?››
‹‹No, e non mi interessa,›› dico.
‹‹E invece ti conviene saperlo. Quello lì rischia… Parla troppo! Urla contro i mali di questo posto… Non si fa, Michè… Tu che gli sei amico lo devi mettere all’erta!››
‹‹Non capisco cosa volete dire.››
‹‹Eh, Michè, tu fai finta di non capire! Domenica, quello ha fatto una predica che la gente si è nascosta sotto i banchi. Il Maresciallo se ne è uscito dalla chiesa passando per la sagrestia.›› Vorrei far finta di non essere interessato, ma non resisto e chiedo loro cosa ha detto durante la predica.
‹‹Eh, Michè! Ha detto che c’è gente che vuole speculare sulle nostre terre, sulle nostre colline,›› mi dice Maria. La guardo sorpreso.
‹‹Marì, tu parli troppo difficile… Che significa speculare? Io non ti capisco,›› interviene Nunzia.
‹‹Significa fare i furbi con gli altri. Imbrogliare i poveretti. Ha detto che non si costruiscono case se non servono e dove non si può.››

Torno dal tavolo del Maresciallo. Gli ho appena portato il vino che gli piace tanto: bottiglia pregiata e vino di cantina.

‹‹Sono fiero di te, Michele! Questo non è un mestiere per tutti, ma tu stai imparando in fretta. Un vero cameriere deve conoscere i gusti dei clienti abituali.›› Mi dà una pacca
sulla spalla, il signor Alfredo. Vorrei sputare sulle sue scarpe lucide e nere.
‹‹Ma dove ho messo la sigaretta? Ne ho persa un’altra! Devo farla finita con questa roba! Devo farla finita!››
Alzo la testa e vedo Anna che entrando si guarda intorno. Prima di farsi avanti resta un po’ sulla soglia. Mi nascondo dietro una colonna e non so che fare. Devo recuperare il fermacapelli sul tavolo: lo avevo messo lì per restituirglielo come segno della nostra rottura, ma il suo profumo, che mi sembra di sentire mentre avanza, fa vacillare il mio rancore per lei. Dallo specchio vedo che si gira verso la cucina. È il momento buono, afferro il fermacapelli e mi dirigo verso il tavolo del Maresciallo. Il Sindaco è nervoso. Il Maresciallo gli tiene il braccio.
‹‹Questo è il momento buono per fare quello che devi fare. Tutti stanno a pensare alla bomba. I giornali non parlano d’altro. Nessuno si preoccuperà delle delibere comunali.››

Il Sindaco scuote la testa e si divincola cercando di non farsi notare dagli altri clienti. Anna non mangia quasi nulla. Le porto le pietanze senza guardarla. Mi rivolgo soltanto ai suoi genitori. Lei allunga un braccio per prendere un piatto e mi sfiora la mano. Io resisto al desiderio di lasciarmi andare: devo difendere l’onore di mio padre. Mi affretto ad allontanarmi. Entro in cucina e mentre Marta mi viene incontro sbracciandosi scorgo l’assistente sociale, in piedi, con la borsa in mano. Non è venuta per fare cena, avverto.

 

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