Le guide turistiche esordiscono col dire che “il regno di Tonga è il primo luogo al mondo a vedere sorgere il nuovo giorno”. È un insieme di isole immerse nel blu dell’oceano. Così piccole che si fa fatica con lo zoom a rintracciarle con Google Maps. Siamo nel Pacifico sud-occidentale, a circa 3mila chilometri dalla costa orientale dell’Australia. È qui in questa parte sperduta del pianeta, a 13 ore di fuso orario rispetto a Roma, che è arrivato l’occhio di Papa Francesco. È qui che è nato e cresciuto il vescovo Soane Patita Paini Mafi. Il suo nome è comparso, “a sorpresa”, nella lista dei nuovi cardinali che il Papa creerà nel Concistoro del 14 febbraio. Classe 1961, il cardinale Mafi diventa il membro più giovane del Collegio cardinalizio. Nell’impossibilità per ragioni di fuso orario di raggiungerlo telefonicamente, la conversazione viaggia tranquillamente via Internet.
Cosa ha provato quando ha saputo che Papa Francesco aveva scelto il vescovo di Tonga per farne un suo stretto collaboratore, elevandolo al cardinalato?
“Appena ricevuta la notizia, è stato difficile crederci. Poi ho provato al tempo stesso sorpresa e molta umiltà. E alla fine mi sono arreso all’evidenza, cercando di viverla nella riflessione e nella preghiera”.
Chi le ha dato la notizia?
“L’ho ricevuta al telefono da mio fratello più piccolo che vive a San Francisco, negli Stati Uniti: mi ha chiamato. A Tonga erano le 4 del mattino. A Roma era ancora domenica pomeriggio. Mio fratello aveva appena ricevuto la notizia dal sacerdote della sua parrocchia che gli aveva mandato un messaggio dopo aver visto la tv”.
Perché, secondo lei, Papa Francesco ha fatto il suo nome, ha scelto il vescovo di un’isola così lontana da Roma?
“In effetti non ci sarebbero ragioni, se non lo avesse scelto il Santo Padre in persona. Voglio dire, deve aver avuto un motivo. Posso solo immaginare che probabilmente il Papa sta cercando di fare il punto e per farlo ha bisogno di far capire che la Chiesa è composta da tutti i quattro angoli del pianeta e non solo da una parte di esso. Forse è il suo modo di mostrare quanto Egli voglia far conoscere questa realtà autentica della Chiesa che è il Corpo Mistico di Cristo. In altre parole, il Papa sta cercando di far capire ciò che probabilmente sembra essere ancora poco familiare a molte persone e cioè l’esistenza dei ‘piccoli’ e il fatto che questi ‘piccoli’ possono dare un contributo e farsi riconoscere”.
Ci faccia allora capire com’è la Chiesa di Tonga. Come può aiutare la Chiesa universale e la Chiesa di Roma a crescere nella fede e nella santità?
“Proprio come ai tempi di Gesù, anche i poveri e i piccoli possono insegnarci qualcosa sulla natura del Regno di Dio. Per esempio, la vedova povera che dona tutto quel che ha; oppure i bambini che erano felici di essere semplicemente se stessi e accorrevano attorno a Gesù sebbene venissero fermati dagli Apostoli. Credo allora che sia l’idea di vivere uno stile di vita semplice, essere umili ed essere felici per quello che abbiamo già dato; in altre parole, essere chi siamo – poveri, deboli e vulnerabili come essere umani – e tuttavia pieni di fiducia e amore grande e rispetto per Dio come Creatore e come Colui che provvede alle nostre necessità. La nostra gente ha anche un profondo senso di vicinanza alla natura, per l’ambiente naturale in cui vive, circondato da una bellezza di paesaggi, sia di terra che di mare. In più, il nostro popolo è cresciuto con l’idea e un modo di comprendere se stessi come ‘ricevitori’ di un dono da un ‘Donatore’ che è Dio stesso. Ciò significa quindi non essere colui che controlla ma colui che è parte di un dono ricevuto. Generalmente poi il nostro è anche un popolo molto unito. Si dipende gli uni dagli altri e ciò conduce naturalmente alla condivisione e all’aiuto in caso di necessità. Credo che questo spirito di comunione tra i membri può essere un buon modello per tutti da vedere e da vivere”.
Quanto è importante che le Chiese di periferia possano avere più voce nella Chiesa?
“Per me è molto importante perché spesso le periferie sono abitate dai poveri e dagli emarginati e in periferia queste persone possono essere viste, ascoltate e incontrate. Voglio dire che in questi ambienti e in queste condizioni, la Chiesa e la sua opzione preferenziale per i poveri può essere meglio sperimentata e forse meglio applicata. La voce di queste Chiese parla in nome e in rappresentanza dei poveri. Come più volte il Santo Padre ha esortato la Chiesa durante il suo pontificato e guida pastorale, dobbiamo dare maggiore attenzione al grido del povero”.
Che cosa dirà a Papa Francesco quando lo incontrerà, a breve, a Roma?
“Grazie Santo Padre per aver posto la sua fiducia in un umile servo. E poi probabilmente gli dirò: quando verrà in Oceania e nel Pacifico?”.
0 commenti