Le parole servono per capirsi. Per dire le cose come stanno. Oppure, al contrario, per ammansire i propri interlocutori o raccontare mezze verità. Osservazioni, queste, che valgono per tutti i protagonisti del braccio di ferro in atto fra la Grecia e gli altri 18 Stati della moneta unica: siano essi il premier ellenico Tsipras o il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, il ministro delle finanze tedesco Schäuble o il presidente della Bce Draghi, il commissario europeo Moscovici o la direttrice del Fmi Lagarde.
Ad esempio durante le trattative a Bruxelles s’è detto “istituzioni” pur facendo riferimento – di fatto – alla “troika” (Ue, Bce, Fmi); invece Tsipras, rivolgendosi ai suoi connazionali, ha assicurato che “la battaglia è vinta” e l’”austerità è finita”, salvo annunciare, un secondo dopo, che “le difficoltà, le difficoltà vere, sono ancora davanti a noi”.
Comunque l’Eurogruppo del 20 febbraio ha finalmente prodotto un accordo per l’ennesima apertura di credito alla Grecia da parte dell’Europa. E così dovranno procedere le cose oggi, quando l’Ue valuterà le riforme (un “programma” di riforme, guai a chiamarlo come prima “memorandum”) che il governo di Atene si impegna a realizzare per ottenere l’estensione degli aiuti per quattro mesi. Il nuovo appuntamento del 23 febbraio potrebbe essere una formalità, purché l’Esecutivo greco dimostri, al di là dei giochi di parole, che intende far sul serio, predisponendo una strategia di medio periodo volta a rimettere in sesto un Paese sull’orlo del default.
Tsipras ha detto ai greci, a chi l’ha votato il 25 gennaio scorso e a chi non ha creduto alle sue promesse, che l’intesa siglata con i ministri di Eurolandia “annulla gli impegni presi dal precedente governo per i tagli ai salari e alle pensioni, sui licenziamenti nel settore pubblico, per gli aumenti dell’Iva sui prodotti alimentari, farmaceutici e le infrastrutture turistiche”. Stop alla troika, basta coi salvataggi, è finito il tempo del rigore e della “macelleria sociale”. Così almeno davanti alle telecamere della tv. Poi, rientrato nel suo ufficio, si è rimesso al lavoro con il fedele ministro delle finanze Varoufakis per convincere le “istituzioni” europee a dare qualche mese ancora di respiro per stilare l’elenco di quelle riforme irrinunciabili per far ordine nei conti pubblici, contrastando evasione fiscale e sprechi, ma anche risparmiando su sanità e servizi pubblici, tenendo sotto controllo salari e pensioni, imboccando di nuovo la strada delle privatizzazioni, senza escludere l’utilizzo del ricorso alla leva fiscale.
Niente di nuovo sotto il sole, dunque.
La vicenda consegna però alcune acquisizioni fondamentali. Anzitutto è chiaro che l’Europa resta al fianco della Grecia e che il posto della Grecia è nell’Eurozona e nell’Ue. Su questo si sgombera il campo da illazioni, dubbi o tentazioni. E si lancia un segnale chiaro ai mercati e agli speculatori. Secondo elemento: la politica ha fatto la sua parte. Ovvero è prevalsa la volontà di trovare un punto di incontro, che mirasse al risultato – cioè tendere la mano alla Grecia e ridarle una chance per ripartire – mediante un compromesso accettabile per tutte le parti in causa. Terzo: la crisi, che ha messo in ginocchio mezza Europa, provocando ricadute sociali pesantissime, sta sortendo l’effetto di rilanciare il principio di solidarietà, un caposaldo della “casa comune” europea.
Ma se è vero che l’Europa esiste, che la politica sa fare la sua parte, che il principio di solidarietà non è un sogno rimasto nella testa di Schuman, De Gasperi e Adenauer, allora è lecito attendersi al più presto nuove, positive conferme. Perché oltre al caso-Grecia, ci sono molteplici sfide in attesa di una altrettanto convincente risposta europea: la disoccupazione che riguarda 25 milioni di cittadini Ue con le rispettive famiglie, la guerra in Ucraina, il contrasto al terrorismo, la cenere che cova sotto il nazionalismo diffuso e la xenofobia dilagante, l’instabilità mediorientale e nordafricana che premono alle porte del Vecchio continente, gli incontrollati flussi migratori, la difesa dei diritti fondamentali in ognuno dei Paesi membri…
Ora ciascuno deve fare il tifo per la Grecia, chiamata a sistemare i problemi interni e a onorare gli impegni internazionali. E forse è il momento di fare anche il tifo per l’Europa perché, come osservato infinite altre volte, alle sfide comuni bisogna fornire risposte comuni e convincenti. E l’Ue può giocare un ruolo essenziale.
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