È un ingegnere di software e lavora per Google. Il suo ufficio è nel quartier generale californiano di Mountain View, nel cuore della Silicon Valley. Waleed Kaddus è anche un devoto musulmano. Di origine egiziana, ma nato e cresciuto in Australia e poi emigrato negli Stati Uniti, Kaddus è un esempio di “musulmano americano”: pur considerando il fatto che non tutti hanno un lavoro di questo profilo, Kaddus nella sua comunità non è neppure un’eccezione. “Sono un musulmano praticante e sono fiero della mia religiosità”, spiega. “Il mio background mi ispira a lavorare in modo etico, con l’obiettivo di migliorare e arricchire la società di cui siamo tutti parte”.
Vocazione multiculturale. Nonostante gli attacchi dell’11 settembre 2001, l’aspra tensione per la guerra al terrorismo, e il centinaio di jihadisti americani che stanno combattendo in Iraq e in Siria, i musulmani americani sembrano avere più opportunità e appaiono maggiormente in grado di contribuire allo sviluppo della società in cui vivono rispetto a quelli europei. L’elemento principale che favorisce l’integrazione dei musulmani nel dinamico tessuto della società americana è il suo impianto multiculturale. “La competizione e il merito sono gli aspetti fondamentali con cui si viene valutati. L’individuo può esprimere il suo potenziale al di là del background etnico o religioso”, chiarisce Steven Fish, docente di Scienze politiche all’Università della California Berkeley. E aggiunge che una società “in grado di permettere un equo accesso alle opportunità” a prescindere dal retroterra familiare “è più capace di integrare e attrarre talenti di qualsiasi fede”.
Numero e Paesi d’origine. I musulmani americani differiscono da quelli europei sia in termini di quantità che di provenienza. Benché il Census Bureau, l’Istat americano, non censisca le religioni, le stime indicano che i musulmani costituiscono l’1% della popolazione. Una percentuale molto più contenuta per esempio di quella della Germania (dove si attestano sul 5%), e della Gran Bretagna (dove gli islamici sono il 4,5 per cento della popolazione totale). Inoltre la popolazione musulmana in America non è dominata da un unico gruppo etnico (per esempio i marocchini in Olanda o gli algerini in Francia), ma ha origine da ben 77 Paesi diversi, stando ai dati del Pew Research Center. Il che ha creato un’identità di “musulmano americano” aperto a più interpretazioni del testo sacro e a una pluralità di tradizioni. Chris McCoy, un noto architetto di edifici di culto islamico negli Stati Uniti, ritiene che le sue moschee “ne sono una sintesi plastica”. Vari stili, “tra cui quello indonesiano, saudita e indiano”, si incontrano.
Estrazione sociale e reddito. I musulmani americani sono in media più benestanti di quelli europei. Hanno le stesse chance di qualsiasi americano di arrivare a un reddito annuale familiare di 100mila dollari (il reddito medio familiare in America al momento si aggira attorno ai 51mila dollari annuali). Lo stesso non si può dire dei turchi in Germania o degli egiziani in Italia. In America molti musulmani sono arrivati negli anni ‘70 per completare gli studi universitari nei migliori atenei, tra cui Harvard e Yale. Si trattava in gran parte di medici, dentisti, ingegneri o ricercatori di Middle Eastern studies e di accademici di varie discipline.
I “jihadisti della porta accanto”. Nonostante questo quadro generalmente roseo, se si guarda alla comunità musulmana è facile individuare sacche di malcontento, che talvolta possono risultare anche molto insidiose. Si pensi per esempio agli attentati della maratona di Boston del 2013 portati dai fratelli ceceni Dzhokhar e Tamerlan Tsarnaev nei quali sono morte tre persone e ne sono rimaste ferite 264. O si pensi ai jihadisti somali-americani del Minnesota, quelli che vennero definiti dalla stampa americana i “jihadisti della porta accanto” che, soprattutto nel 2007 e 2008, partivano per la Somalia per combattere tra le fila degli al-Shabaab, un gruppo insurrezionalista islamista.
Oltre i pregiudizi razziali. Molti musulmani americani, inoltre, si dicono vittima anche negli Stati Uniti di islamofobia e di “hate crimes”, crimini con l’aggravante dell’odio razziale, soprattutto in età scolare. Interessante sotto questo profilo è il recente studio di Hatem Baziam, professore di arabo a Berkeley, che evidenzia come “il 40% dei musulmani che abitano nella prospera baia attorno alla città di San Francisco” (250mila persone) “dice di aver sperimentato discriminazioni”, e il 23% denuncia “d’essere stato vittima di un crimine riconducibile a una matrice razziale”. Nonostante questo, nel complesso i musulmani americani sembrano avere molte più chance rispetto a quelli del Vecchio continente per valorizzare le opportunità offerte dalla terra in cui vivono e che molti considerano come il proprio Paese.
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