Semplificando all’estremo si potrebbe persin dire che è tutta colpa di Zalando. È scientificamente provato che la pubblicità martellante spinge a comportamenti compulsivi, così non stupisce più di tanto leggere che nel nostro Paese si vendano la bellezza di ottanta milioni di scarpe da donna. Ogni anno. Solo in Italia. Calcolato che la popolazione italiana si attesta sui 60 milioni di bipedi, lattanti compresi, e che la compagine femminile si compone di 30 milioni di esemplari in attività, è come se ogni singola donna comprasse in media quasi tre paia di scarpe l’anno. Con un po’ di matematica spicciola si è visto anche che una donna nel corso della sua vita cambia, sempre in media, qualcosa come 500 paia di scarpe. Siccome il celebre esempio della media del pollo lo si conosce tutti, è meglio cominciare subito con le confessioni: personalmente negli ultimi due anni la mia scarpiera ha accolto ben più di tre paia di nuovi arrivi, quindi c’è qualcuno cui devo aver sottratto qualcosa.
In fondo, le scarpe sono un accessorio che calma l’ansia e ha un’essenza consolatoria: difficile entrare in un negozio superati i 17 anni e dover chiedere un numero diverso per le calzature, cosa che invece non accade, salvo a pochissime privilegiate, per gli abiti. Constatare sotto lo sguardo impietoso di una commessa che la 42 non è più la nostra taglia nemmeno tirando le cuciture è una scoperta che può creare non pochi turbamenti, mentre un sano (e costante) 38 di piede può avere come unico limite che l’assortimento finisce subito. Rispetto a un paio di pantaloni infedeli, una scarpa non ti giocherà mai brutti tiri…
Senza contare che le donne abitano la città e la vita correndo su tacchi più o meno alti. Per dirla con Ginger Rogers: “Sulla scena facevo tutto quello che faceva Fred Astaire, e per di più lo facevo all’indietro e sui tacchi”. Alzi la mano chi di noi non lo ha mai pensato, affrontando con un comodo 4 o un trampolo da 12 centimetri le complesse evoluzioni del nostro quotidiano correre. Cinema, televisione e letteratura hanno sempre riservato uno sguardo privilegiato alle calzature. Carrie Bradshaw la più modaiola delle quattro amiche di S&TC (Sex and the city) non collezionava mica gioielli, bensì ettometri cubi di scarpe. In una delle sue battute più famose, nel momento in cui si rende conto di non avere soldi per l’acconto che le servirebbe per comprarsi casa, esclama: “Mi state dicendo che ho speso 40mila dollari in scarpe e non ho un posto dove vivere? Sarò ridotta letteralmente ad abitare nelle mie scarpe…” Mica per niente sono gli americani ad aver coniato il termine “shoeaholic”, ovvero “persona che possiede più di 60 paia di scarpe”. Ma anche nella Vecchia Europa non ce la si cava male. Qualche tempo fa un quotidiano britannico aveva promosso una piccola quanto significativa inchiesta che rivelava come il 92% delle intervistate ricordasse perfettamente il primo paio di scarpe acquistato con i propri risparmi mentre solo il 63% riusciva a identificare con altrettanta precisione il nome del ragazzo cui era stato dato il primo bacio.
Ebbene, con buona pace della crisi, dati Istat alla mano le famiglie italiane dedicano alle scarpe un quarto della spesa destinata all’abbigliamento. E, come da copione e da proporzione degli armadi, le donne sono le protagoniste: due terzi del budget vanno per le scarpe di lei, un terzo per lui.
La lettura delle cifre infatti fornisce sorprese interessanti: gli uomini comprano soltanto 16 milioni di scarpe l’anno. Possibile che non ne abbiano bisogno? Non avendo ancora assistito a un aumento esponenziale di monaci scalzi, evidentemente i maschi ci fanno davvero meno caso a certe cose. Oppure, lettura maliziosa, sono così impegnati a far le scarpe agli altri che non hanno tempo da dedicare alle proprie.
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