Dicevano i latini, e ci ripetono nelle scuole anche italiane, “festina lente”, affrettati lentamente. È un facile ossimoro, quella figura retorica che accosta vocaboli di significato opposto. Lo ripeteva spesso Augusto, il cui bimillenario è scivolato via nella distratta calura della scorsa estate, segno di uno dei tanti deficit che stiamo colpevolmente accumulando.
La bimillenaria frase di Augusto però ci può aiutare. È la chiave giusta per entrare nel grande ottovolante delle tante riforme oggi sul tappeto, senza perdere il filo tra poste politiche, frammentazione dei gruppi, interessi settoriali, scadenze elettorali.
Nella grande affabulazione, insomma, è necessario arrivare ai fatti: per questo bisogna fare valere le ragioni e dunque delineare la strada del riformismo possibile.
Questo vale in particolare per la riforma della scuola, annunciata per decreto e ora affidata alla via ordinaria del disegno di legge. C’è un’urgenza immediata, il destino dei “precari”, ma c’è un’urgenza strutturale, la necessità di arrivare a disegnare un punto di approdo, a proposito di un nervo sensibilissimo di un’Italia con prospettive demografiche impressionanti: il numero dei sessantenni – non dimentichiamolo – ha ormai superato quello dei ventenni.
La nostra scuola, sempre riformata a brandelli, così che le toppe risaltano sempre di più, rendendo l’abito impresentabile, ha bisogno di concentrarsi sull’essenziale, ritrovare la propria identità e dunque una nuova efficacia.
Ecco allora, tre nodi. Il primo è il personale: il reclutamento e lo sviluppo delle carriere degli insegnanti, ha finalmente bisogno di certezze. Il loro status non si può determinare per legge, ma è un bene pubblico molto rilevante, da promuovere, così come la disciplina in classe. Connesso è il tema dell’autonomia scolastica, sulla carta un valore, che spesso però è gestita “all’italiana”, in modo cripto-feudale.
Il secondo nodo è relativo ai cosiddetti curricula, cioè cosa si insegna e come: gli studenti sono gravati da un carico crescente, risultato di una disordinata accumulazione di materie frutto di pulsioni, mode e complessi di inferiorità culturale, che fanno perdere di vista tanto le nozioni, che la formazione culturale. Il modo migliore per collegare scuola e lavoro è una vera selezione meritocratica, che sola può garantire la possibilità di una vera promozione sociale.
Il terzo nodo è a proposito dell’assetto del sistema: ci sono le condizioni oggi, grazie alla leva fiscale, per garantire pluralismo e libertà di educazione, all’interno del sistema pubblico, tra scuola statale e paritaria, che giustamente chiede condizioni minime di sussistenza.
Auguriamoci che la discussione parlamentare, affrontando questi nodi, permetta quella grande operazione realtà che da troppo tempo ci manca, superi vecchie incrostazioni ideologiche e delinei prospettive chiare, avviando così un processo, largamente condiviso, di cui l’Italia ha sempre più urgente bisogno.
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