Sabato 14 marzo ho avuto la gioia di partecipare all’udienza che papa Francesco ha tenuto all’UCIIM l’Associazione degli insegnanti cattolici italiani che quest’anno festeggia il suo 70 ° anno della sua fondazione.
Nella sala Nervi in questa udienza eravamo quasi in 1800 tra insegnanti in attività con le proprie famiglie ed insegnanti in pensione facenti parte di questa Associazione che al termine del loro convegno nazionale hanno avuto la gioia di incontrare il Santo Padre. Quando un mese fa il professore Mario Gabrielli, nostro responsabile degli insegnanti di religione della nostra diocesi, mi chiese se volevo partecipare all’udienza, non ho perso tempo. Dovevo decidere in fretta per i posti limitati. Ho fatto una telefonata a mia moglie per sapere se per quel giorno non avevamo impegni familiari e, avuto il consenso, ho detto sì alla proposta del professor Gabrielli ed è stata una scelta giusta, anche perché era la prima volta che incontravo dal vivo papa Bergoglio.
Nel discorso, che è durato una ventina di minuti circa, amichevolmente il papa ci ha salutati così: “ Cari colleghi e colleghe, permettetemi di chiamarmi così, perché anch’io sono stato insegnante come voi e conservo un bel ricordo delle giornate passate in aula con gli studenti.”
Il papa ci ha ricordato che insegnare è una grande responsabilità è un impegno serio che solo una persona matura ed equilibrata può prendere. Insegnare incute timore, ma un insegnante non è mai solo perché condivide sempre il proprio lavoro con gli altri colleghi e con tutta la comunità educativa cui appartiene. Citando il comandamento di Gesù di amare Dio sopra ogni cosa e il nostro prossimo come noi stessi, ci ha ricordato che il prossimo di noi insegnanti sono i nostri studenti che attendono da noi una guida, un indirizzo, una risposta e prima ancora delle buone domande.
“Il dovere di un buon insegnante, in particolare cattolico, è quello di amare con maggiore intensità i suoi allievi più difficili, più deboli, più svantaggiati. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? E ce ne sono alcuni che fanno perdere la pazienza, ma quelli dobbiamo amarli di più! A voi chiedo di amare di più gli studenti “difficili”, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili, gli stranieri che oggi sono una grande sfida per la scuola”
Il papa ci ha esortato ad essere per i giovani dei punti di riferimento pronti ad andare nelle periferie della scuola per evitare che i ragazzi siano abbandonati all’emarginazione, all’ignoranza e alla malavita.
Il Santo Padre ci ha ricordato come modello di educatore il grande San Giovanni Bosco di cui quest’anno si ricorda il bicentenario della nascita. Don Bosco ricordava infatti ai suoi sacerdoti: educare con amore. Il primo atteggiamento di un educatore è l’amore. Il papa ha aggiunto che non basata dare i contenuti ai ragazzi, per quello oggi è sufficiente il computer, ma dare le motivazioni per lo studio, trasmettere dei valori ed abitudini della vita per creare armonia nella società dove i giovani trovano la loro realizzazione umana. Per questo occorrono insegnanti cristiani che siano testimoni credibili di questi valori e di un’umanità matura e completa. “ La testimonianza non si compra, non si vende: si offre”.
Un altro passaggio significativo di papa Francesco è stato: “L’insegnamento non è solo un lavoro: l’insegnamento è una relazione in cui ogni insegnante deve sentirsi coinvolto come persona, per dare senso al compito educativo verso gli alunni”.
Il papa ha concluso il suo discorso incoraggiandoci a rinnovare la nostra passione per l’uomo, perché non si può insegnare senza passione. Occorre spalancare tutte le porte della speranza ai nostri studenti.
Ringrazio il Signore di avermi dato l’opportunità di ascoltare dal vivo questa esortazione del papa e mi impegnerò con tutto me stesso a stare in classe avendo a cuore il futuro e il destino dei miei alunni per accompagnarli nel loro percorso di crescita formativa, umana, culturale e cristiana.
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