Lo scorso 13 marzo Papa Francesco è entrato nel suo terzo anno di pontificato, solennemente inaugurato con la celebrazione eucaristica del 19 Marzo 2013. Nei due anni trascorsi numerosi sono stati i messaggi e i gesti con cui egli ha saputo congiungere tradizione e rinnovamento, fedeltà all’identità della Chiesa e apertura al soffio sempre nuovo dello Spirito di Dio.
Pur nell’impossibilità di tracciarne un bilancio esauriente, mi sembra che tre coppie di espressioni possano aiutare a cogliere la novità e la profondità di quanto questo Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” sta trasmettendo al popolo dei credenti e all’intera famiglia umana. La prima coppia contrappone all’atteggiamento dell’“autoreferenzialità” il programma di una Chiesa “in uscita”: autoreferenziale è chi pone al centro di tutti i rapporti se stesso, e tale sarebbe una Chiesa che cercasse la propria affermazione e il proprio interesse e non la gloria di Dio e la salvezza degli uomini.
“In uscita” è la Chiesa proiettata verso il suo Signore, tesa a celebrarne il primato nell’ascolto obbediente e nell’adorazione, rivolta al tempo stesso agli uomini, alle loro necessità più profonde, al servizio della loro salvezza eterna. Le ragioni per cui la Chiesa è chiamata a essere sempre in “uscita” risiedono anzitutto nel comando di Gesù, che invia quanti credono in Lui a portare a tutti la gioia della buona novella: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15).
C’è, poi, l’urgenza che arde nel cuore di chi ha incontrato il Signore e lo rende sempre pronto a parlare di Lui, rendendo ragione della speranza che ha in sé e agendo con la passione della carità specialmente verso i piccoli e i poveri. Infine, a spingere verso l’“uscita” missionaria è il bisogno di luce e di salvezza degli uomini, espresso nell’immagine forte e concreta usata di frequente da Francesco delle “periferie”, spesso dimenticate o trascurate, che interpellano l’attenzione e l’impegno di chi ha il dono della fede.
Le “periferie” di cui parla il Papa sono anzitutto quelle geografiche dei popoli non ancora evangelizzati e di quanti si trovano fisicamente lontani dal cuore pulsante della comunità ecclesiale. Si può, tuttavia, vivere in Paesi di antica cristianità, porta a porta di cristiani ferventi o a breve distanza da Chiese e centri di vita liturgica e caritativa, senza conoscere il Signore, perfino privi del tutto – per propria o altrui responsabilità – della percezione della bellezza del Suo amore e dell’importanza di conoscerlo e di farne esperienza. Sono queste le “periferie esistenziali”: esse vanno dai cosiddetti “lontani”, che spesso hanno ricevuto un primo annuncio della buona novella, ma si sono poi allontanati dalla fede per le vicissitudini della vita o per la testimonianza poco o per nulla credibile resa dai credenti, ai nascosti cercatori di Dio, che avvertono nel cuore la nostalgia del Totalmente Altro, ma non conoscono la strada per contemplarne il Volto e ricevere il dono dell’amore divino.
Accanto a questi va compreso anche chi con precisa consapevolezza ha rifiutato l’orizzonte della fede, ritenendolo ingenuo o scomodo o alienante. Se guardiamo all’altissima percentuale di quanti ordinariamente non frequentano la vita sacramentale, il campionario delle “periferie esistenziali” della fede si presenterà facilmente in tutta la sua varietà e complessità. Si tratta di “lontani”, certo, che non di meno per lo sguardo di chi crede sono amati dal Signore, morto e risorto anche per loro: essi restano sempre oggetto dell’infinita misericordia del Padre celeste, raggiunti dal soffio dello Spirito, che attrae i loro cuori a Dio.
Portare la buona novella a queste “periferie” è il compito della Chiesa “in uscita”, che non si accontenta del “piccolo” e del “vicino”, ma avverte l’urgenza di condividere il più possibile con tutti il dono ricevuto dall’alto, con entusiasmo e generosità.
La seconda coppia di espressioni care a Papa Francesco congiunge per contrasto la “cultura dello scarto” all’idea di una Chiesa “povera e per i poveri”: “C’è un’indole del rifiuto – ha affermato il Pontefice nell’udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede lo scorso 12 gennaio – che induce a non guardare al prossimo come a un fratello da accogliere, a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare…
Si tratta di una mentalità che genera quella ‘cultura dello scarto’ che non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso. Da essa nasce un’umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta”. Ne consegue la tragica realtà che Francesco ha definito “una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi”. A questa situazione il Papa non contrappone alcuna idea di potenza mondana risolutrice.
Pur richiamando popoli e individui alla responsabilità per quanto sta accadendo, Francesco vede decisiva la testimonianza di povertà che la Chiesa può dare, fondata sulla sequela del Cristo povero e sulla fiducia non nei mezzi umani, ma nella fede in Dio. “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!” fu l’esclamazione, tanto spesso citata, uscitagli dalle labbra durante l’incontro coi rappresentanti dei media il 16 marzo 2013 nel rievocare le ragioni che l’avevano indotto alla scelta del nome Francesco. Povera è una Chiesa che considera sua unica ricchezza la fede nel Signore e il dono del Suo amore. Essa è “per i poveri” se – rifiutando ogni logica di grandezza mondana e di potere – è disposta a mettersi in gioco per la dignità di tutto l’uomo in ogni uomo.
Proprio così, rifiutando la logica egoistica dello scarto, essa si pone come un segno a favore della gratuità, del dono di sé come forma autentica dei rapporti umani, sola possibilità rivoluzionaria nei confronti dei calcoli di sopraffazione che avvelenano gli animi e li fanno scivolare verso il conflitto e la legge spietata della forza.
Infine, Papa Francesco ha parlato spesso di una “globalizzazione dell’indifferenza”, quale risultato planetario della “cultura dello scarto” e del predominio dell’interesse egoistico individuale o di parte: ad essa egli contrappone il Vangelo della misericordia. Come risultava già dall’omelia dell’inaugurazione del pontificato, misericordia è custodire l’altro come Dio custodisce noi. “La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti.
È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori.
È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene” (19 Marzo 2013). Primo “custode” di tutti con la tenerezza del suo amore è il Dio vivente, così presentato dalla fede biblica: “Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra” (Salmo 121,5). Custoditi dal Dio misericordioso, accolti dal Suo perdono, impariamo a custodirci gli uni gli altri con misericordia: è questa l’esperienza che Francesco propone alla Chiesa e al mondo, e che intende mettere al centro della vita e della missione del popolo di Dio col Giubileo che ha appena annunciato, e che avrà inizio l’8 Dicembre 2015 – cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio – per durare fino alla solennità di Cristo Re del 20 Novembre 2016.
Un anno santo per convertire i cuori dalla globalizzazione dell’indifferenza alla cura misericordiosa dell’amore. Una buona novella e insieme una sfida per tutti, che solo chi vive l’esperienza profonda dell’amore misericordioso di Dio sa essere risolutiva per il futuro dell’umanità: e Papa Francesco è voce autorevole e credibile di questa esperienza.
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