Pace, solidarietà, sostegno. “Chi spara in nome di Dio, spara contro Dio”. Antonio Tajani, vice presidente del Parlamento europeo, ha aperto la conferenza affermando che “l’Europa attraversa un momento difficile”, minacciata fra l’altro da attentati e terrorismo e, per questo, “si interroga sui suoi valori e sul proprio futuro”. Il pericolo incombente costituito dal Califfato, in Medio Oriente e in Africa del nord, giunge fino all’Europa: per contrastarlo non bastano reazioni militari, occorre piuttosto rafforzare il “patrimonio identitario e la solidarietà” all’interno dell’Unione, facendo fra l’altro tesoro delle radici giudaico-cristiane dell’Europa, cui si aggiungono i contributi e i fermenti delle altre fedi, a partire da ebraismo e islam. È la stessa Ue a insistere per una costruzione comunitaria che vada oltre gli aspetti economici e politico-istituzionali: la recessione degli ultimi anni, le ondate migratorie, l’emergere della xenofobia e dell’intolleranza religiosa e verso le minoranze in genere, e, più di recente, la pressione esercitata dal terrorismo di matrice religiosa, minacciano le società europee e pongono seri quesiti al processo di integrazione. Da qui la convinzione che sia necessario valorizzare le religioni e le comunità di fede, portatrici – è stato detto da tutte le voci risuonate all’Europarlamento – di un positivo messaggio di pace, solidarietà, convivenza e mutuo sostegno. “La nostra forza”, volta al bene dell’umanità e “alla convivenza pacifica”, ha dichiarato l’imam franco-tunisino Hassen Chalghoumi, “è superiore al loro odio”.
Costruire aspirazioni comuni. Ma, ha avvertito mons. Theodorus Hoogenboom, vescovo ausiliare di Utrecht (Paesi Bassi), intervenuto a nome della Commissione degli episcopati della Comunità europea, “il dialogo non è un incrocio di monologhi, bensì ascolto reciproco, comprensione. Significa costruire aspirazioni e progetti comuni”. Esso “implica una consapevolezza interculturale”, ovvero la volontà delle diverse culture e religioni di conoscersi, rispettarsi e procedere insieme per un bene comune. Un dialogo, inoltre, che richiede il coinvolgimento delle istituzioni politiche, “regolare”, “non sporadico”, che coinvolga la quotidianità, le famiglie, la società civile, i giovani. Dinanzi alle sfide poste dall’intolleranza e dalle violenze che colpiscono anche i credenti delle diverse fedi, Hoogenboom ha richiamato “i leader religiosi al dovere di promuovere una cultura della pace”, mediante “l’insegnamento, la predicazione, la cura delle persone che si trovano nel bisogno”.
Il “diritto alla differenza”. Articolate le analisi del fondamentalismo. Emmanuel, metropolita ortodosso di Francia, ha ad esempio osservato che “si tratta spesso di una reazione alla secolarizzazione e alla laicizzazione” delle nostre società. Quindi un “fenomeno globale, nel senso che non riguarda solo l’islam”, ma, seppure in misure e forme diverse, “tutte le fedi, anche il cristianesimo”. Generando una sorta di corto circuito che minaccia la convivenza e la pace, come sta avvenendo in varie regioni del mondo e così pure in Europa. “In questa situazione tutte le comunità religiose hanno la responsabilità di mobilitarsi contro i fondamentalismi”, a tutela della tolleranza – anzi, del “diritto alla differenza”, come ha detto Albert Guigui, gran rabbino di Bruxelles – e della convivenza tra i popoli. Il meeting ha visto ulteriori contributi provenienti dal reverendo Robert Innes, della comunità anglicana; Riccardo Di Segni, gran rabbino di Roma; padre Patrick Daly, segretario generale della Comece; Hilde Kieboom, vicepresidente della Comunità di Sant’Egidio. Le conclusioni sono tratte da Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione Ue, e da Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo. Questi ultimi hanno ribadito la forte convinzione che il confronto Ue-Chiese sia essenziale per rafforzare il quadro valoriale entro cui far procedere la costruzione della “casa comune”. Un prossimo appuntamento in questa direzione è già fissato per il 16 giugno, nella sede della Commissione a Bruxelles.
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