Per Papa Francesco, Firenze è “la città della bellezza”. Anche se lui non l’ha mai vista, come ha rivelato all’arcivescovo della diocesi toscana, il cardinale Giuseppe Betori, davanti alla Cappella Sistina, subito prima del Conclave. Il 10 novembre, questo desiderio si realizzerà, e Firenze diventerà la “capitale” della Chiesa italiana. C’è molta attesa per il discorso che il Papa pronuncerà davanti ai 2.300 delegati del Convegno ecclesiale nazionale: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici. “Ora comincia il cammino di preparazione, in collaborazione con tutte le istituzioni fiorentine”, annota il cardinale: un cammino che coinvolgerà anche le parrocchie della diocesi, alle quali è già stato chiesto l’impegno a reperire mille volontari. Nel giorno dell’annuncio della visita di Papa Francesco, abbiamo trascorso una giornata con l’arcivescovo di Firenze, cominciata alle 9.30 con la Messa a Santa Maria Novella per le Forze Armate e terminata con la Via Crucis con i giovani, alle 21. Una Via Crucis speciale, che per la prima volta non si è conclusa in una chiesa, ma su Ponte Vecchio. Luogo simbolo di Firenze, ponte per navigare in mare aperto, sopra un fiume che divide in due la città.
“Voler fare sintesi”: tra passato e presente, tra storia e futuro, tra cultura e carità. È questa, per il cardinale Betori, la “cifra” di Firenze, che descrive bene anche il modo in cui la diocesi si sta preparando ad accogliere il Papa. Il primo incontro di preparazione della Chiesa fiorentina al Convegno si è svolto il 3 febbraio, con la partecipazione di oltre 400 persone: “C’è molta attesa per l’evento, e nell’evento per la venuta del Papa”, assicura l’arcivescovo: “Il Papa non divide cultura e carità: in questo lo sentiamo molto vicino alla nostra identità fiorentina”. L’attenzione, a partire dalle parrocchie che sono e restano le protagoniste principali del cammino di preparazione, è a “legare insieme storia e presente”, perché “il pericolo è che il passato di Firenze, così carico di storia, faccia passare sotto traccia l’oggi”. Ma c’è anche il pericolo opposto: “Che i mille problemi di oggi facciano dimenticare l’eredità del passato, le sue radici, dalle quali si possono ancora trarre buoni frutti”.
La cura dell’umano. Il cardinale Betori conosce bene la sua diocesi, che guida da sette anni e che da due percorre in lungo e in largo per la visita pastorale. Il volto di Firenze, ci dice riassumendolo in una sola espressione, è la “cura dell’umano”: “L’immagine che Firenze ha trasmesso di sé, lungo i secoli, è quella di un luogo di elaborazione di canoni artistici, soprattutto, e culturali”, ma la vita della città, “è fortemente legata alla dimensione dell’attenzione ai poveri. A Firenze non c’è stata mai una divaricazione tra dimensione culturale e dimensione sociale”. Basta pensare a Santa Maria Nova, uno degli ospedali più antichi del mondo, celebrato anche da Martin Lutero nei suoi “Viaggi in Italia”, o alle Misericordie, che sono nate proprio a Firenze, per opera di San Pietro Martire, “non come espressione solidaristica, ma come difesa della fede, nella lotta contro i catari”. “La fede è quella radice di umanità nuova che tiene insieme bellezza e carità”, come dimostra l’opera di artisti come Michelangelo. Nel Novecento, “non si capisce La Pira senza il cardinale Dalla Costa. Don Raffale Bensi litigava con don Milani…”. Insomma, “non esiste una ‘vulgata’ di Firenze: ci sono anime diverse che si confrontano tra di loro in modo anche molto vivace”. Firenze, di certo, “non è un’isola felice, ha in sé tutte le contraddizioni dei nostri tempi”. “Qui, però – racconta il cardinale – trovo un aiuto nel fatto che ogni cosa è avvolta nella tipicità dell’esperienza religiosa e civile di Firenze: il prendersi cura”. Un esempio: la Stazione di Santa Maria Novella, dove accanto alla stanza di accoglienza per chi è senza fissa dimora c’è una cappella con l’adorazione eucaristica. Potrebbe essere questo, ci dice l’arcivescovo, uno dei luoghi rappresentativi di Firenze che i convegnisti incontreranno a novembre.
I Convegni ecclesiali nazionali non sono mai stati “accademie”. Betori, che ha contribuito a prepararne più di uno, ci tiene ad inserire il Convegno di Firenze nel solco comune dell’impegno a mettere insieme teoria e prassi, attraverso il coinvolgimento del popolo di Dio “dal basso”, spesso anticipando i tempi rispetto a ciò che avveniva nella società. Come nel Convegno di Palermo del 1995, quando “si è consumato il divorzio tra la Chiesa italiana e il collateralismo: a Palermo sono finiti 40 anni di storia dell’Italia, nel rapporto tra Chiesa e società. L’attenzione a imprimere svolte sociali è sempre appartenuta alla storia dei Convegni ecclesiali nazionali, in forme diverse a seconda del contesto storico”. “Ci vuole un nuovo alfabeto dell’umano”, sostiene il cardinale: bisogna “fare passi in avanti, non deviazioni, rispetto al cammino fatto dalla Chiesa italiana fino ad oggi”. La spinta propulsiva del Papa è un invito a “integrare di più, guardando dalle periferie e non dal centro”. “La nostra pastorale – osserva Betori – ha pensato troppo a creare mete, e poi altre mete, se quelle non si raggiungevano”.
In cammino, “Oltrarno”. “La novità più forte del Papa – secondo il cardinale – è accettare fino in fondo la dimensione dell’umanità in cammino: l’Esodo non è alle nostre spalle, tutta l’esistenza dell’uomo è una chiamata a camminare”. Non mete, dunque, ma “passi da fare uno dopo l’altro”. “La dinamicità aiuterà molto la Chiesa di Firenze, credo che aiuterà molto anche tutta la Chiesa italiana”. La Via Crucis con i giovani parla questo linguaggio: si conclude su Ponte Vecchio, “nella frattura della città, che è l’Arno, ma anche sopra un ponte, che è la relazione, l’apertura. Le braccia della Croce che si allargano e congiungono i giovani, l’umanità, i popoli”. Oltrarno e verso il mare.
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