“In te, Divino Amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati, crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice”. È una delle frasi più forti della preghiera sotto forma di meditazione, dieci minuti circa, con cui il Papa ha concluso la Via Crucis al Colosseo, la terza del Pontificato. E proprio dagli angoli del mondo dove sono più evidenti queste ferite, che ricordano da vicino le piaghe del Crocifisso, provengono coloro che nelle 14 stazioni hanno portato la Croce: Siria, Nigeria, Iraq, Egitto, Cina, Terra Santa, oltre agli italiani, singoli e famiglie. “Nella tua innocenza, agnello immacolato – le parole di Francesco, applaudito dalle migliaia di persone presenti al suo arrivo alla terrazza del Palatino e al termine del discorso – noi vediamo la nostra colpevolezza. Nel tuo viso schiaffeggiato, sputato, sfigurato, noi vediamo la brutalità dei nostri peccati. Nella crudeltà della tua Passione, noi vediamo la crudeltà del nostro cuore e delle nostre azioni. Nel tuo sentirti abbandonato, noi vediamo tutti gli abbandonati dai familiari, dalla società, dall’attenzione e dalla solidarietà. Nel tuo corpo sacrificato, squarciato e dilaniato, noi vediamo il corpo dei nostri fratelli abbandonati lungo le strade, sfigurati dalla nostra negligenza e dalla nostra indifferenza. Nella tua sete, Signore, noi vediamo la sete di tuo Padre misericordioso che in te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l’umanità”.
Custodire: è il verbo al centro del testo della Via Crucis di quest’anno. L’ispirazione è la prima omelia di Bergoglio da Papa: il 19 marzo 2013, nella Messa d’inizio pontificato parlò di san Giuseppe, il “custode” di Maria e di Gesù. La scelta di monsignor Renato Corti, vescovo emerito di Novara, autore dei testi, è di cogliere a ogni stazione alcuni “sentimenti e pensieri che hanno potuto abitare nella mente e nel cuore di Gesù in quelle ore di prova” e, nello stesso tempo, di lasciarsi “interpellare da alcune situazioni di vita che caratterizzano – nel bene e nel male – i nostri giorni”. Come le persecuzioni dei cristiani, il traffico di esseri umani, i bambini-soldato o quelli abusati, il lavoro che diventa schiavitù, la solitudine e l’abbandono, la malattia, la pena di morte.
Intimità, tradimento, condanna: è la triade dell’Orto del Getsemani. “Che amarezza in quel momento!”, ripensa Gesù a proposito di quel “Salve, Rabbi” pronunciato da Giuda. “Ancor prima dei primi discepoli – la risonanza – siamo noi ad essere fragili nella fede. Rischiamo pure di tradirti”.
Il testamento spirituale di un martire: è quello di Shahbaz Bhatti, ministro pachistano per le minoranze, ucciso il 2 marzo del 2011 da un gruppo di uomini armati. “Pure in questi giorni – l’eco dell’attualità, a partire dalla strage in Kenya, definita da Francesco ‘un atto di brutalità insensata’ – vi sono uomini e donne che vengono imprigionati, condannati o addirittura trucidati solo perché credenti o impegnati in favore della giustizia e della pace”.
“C’è mia Madre tra la folla. Mi batte il cuore. Non riesco a vederla bene. Il sangue mi è sceso anche sul volto”. Gesù incontra Maria e ripensa a quando, ad appena quaranta giorni, venne portato al Tempio e a suo padre e sua madre parlò un profeta, Simeone. Quella spada è ora “realtà bruciante per lei e per me”. “Il dramma che tu affronti insieme con tua Madre per una viuzza di Gerusalemme, ci fa pensare ai tanti drammi familiari presenti nel mondo”, la nostra risposta: “Ce ne sono per tutti: madri, padri, figli, nonne e nonni. È facile giudicare, ma più importante è metterci nei panni degli altri e aiutarli fin dove è possibile”. Un viatico per il Sinodo dei vescovi sulla famiglia.
Chi non ha bisogno di un Cireneo? Tutti, “anche chi non può correre”, che “ci troverà pronti a rallentare, non vogliamo lasciarlo indietro”. Quando Simone di Cirene lo aiuta a portare la Croce, anche Gesù è stupito: “Forse non sa nemmeno chi sono, ma intanto mi aiuta e mi segue”.
“La fatica non è soltanto fisica. C’è qualcosa di più profondo con cui devo fare i conti”. Quando Gesù cade per la seconda volta, è già dentro l’agonia: “Sto condividendo l’esperienza suprema e difficile di ogni essere umano vicino alla morte”. “Quanta tristezza nell’abisso di molte anime, ferite dalla solitudine, l’abbandono, l’indifferenza, la malattia, la morte di una persona cara!”, la risonanza: “Incommensurabile è la sofferenza di coloro che sono dentro ad avvenimenti crudeli, a parole di odio e falsità, o che incontrano cuori di pietra che provocano lacrime e conducono alla disperazione”.
La larghezza, la lunghezza, l’altezza: l’amore del Padre è tridimensionale, e il Figlio, nel suo viaggio terreno, le ha sperimentate tutte, “immerso nella storia del popolo eletto”. E noi? “Non siamo forse dei cristiani tiepidi, mentre il tuo amore è un mistero di fuoco?”.
La tunica strappata ci fa pensare ad “avvenimenti che violano la dignità dell’uomo”. A “situazioni tremende”, come “il traffico di esseri umani, la condizione dei bambini-soldato, il lavoro che diventa schiavitù, i ragazzi e gli adolescenti derubati di sé stessi, feriti nella loro intimità, barbaramente profanati”.
“Sono bloccato nel corpo, ma libero nel cuore. Libero perché abitato dall’amore, che vorrebbe includere tutti”. Quando contempliamo Gesù inchiodato sulla Croce, ci chiediamo “quando sarà abolita la pena di morte, quando sarà cancellata ogni forma di tortura e la soppressione violenta di persone innocenti”.
Da passione a passione. Le meditazioni della Via Crucis si concludono con la “via regale” della Chiesa così come è descritta dal cardinale Carlo Maria Martini: “In te – povero per scelta – la Chiesa è chiamata ad essere povera e amica dei poveri”.
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