Di Alessandro Ribeca autore del romanzo La luce nei tuoi occhi
La realtà puzza! Puzza di sudore, di muffa, puzza dei prodotti chimici di una fabbrica, degli oli degli ingranaggi. Puzza, ma io questa puzza la chiamo profumo. Per sentire questo profumo occorre entrare dentro la realtà, occorre uscire dalle nostre case, dalle nostre stanze d’ufficio climatizzate d’estate e riscaldate d’inverno, dalle nostre abitudini. Occorre incontrare un vecchio amico conosciuto sui campi di calcio giovanili, con cui non parli da venti anni, non perché ci hai litigato, ma semplicemente perché aveva una carriera da calciatore, di quelle che se vuoi diventare un campione ti trasferisci al Nord.
Basta una chiacchierata e le distanze svaniscono in un attimo. Ricordo marinare la scuola con Luca: lui che si fumava una canna dietro una pensilina del bus davanti all’IPSIA, mentre aspettava me che arrivavo dalla ragioneria. Ricordo i suoi gol d’astuzia. Ricordo i suoi silenzi dopo un compito andato male, la sciarpetta rossoblu intorno al collo, la sua bocciatura. Ricordo le sue battute divertenti e la sua generosità. Ricordo le nostre crisi adolescenziali e i nostri pianti. Ricordo una messa di Natale e lui che ci aspettava fuori, sulle scalette della chiesa, perché lui a messa manco morto. Ricordo l’ultima birra insieme prima della sua partenza.
Possiamo andare a cena insieme una sera, magari con qualche altro vecchio amico, propongo. Sarebbe bello, ma posso venire solo a metà del mese quando prendo lo stipendio perché a fine mese non ho più i soldi, mi dice Luca. La realtà ha il volto della precarietà, di un volantino appeso in bacheca: “Questo mese ritardiamo il pagamento degli stipendi. Ci scusiamo per il disagio.” È la realtà di Luca, di sua moglie e dei suoi tre figli. Una realtà che capita di ascoltare distrattamente in Tv.
Ricordo Luca fermo al semaforo, avevamo vent’anni ed era un po’ che non ci vedevamo. Lo saluto dal finestrino. Lui lo apre. Lo imito e apro il mio. “La mia ragazza è incinta!” scatta il verde, clacson spietati dietro di noi, ci salutiamo. Non ho avuto neanche il tempo di chiedergli come mai era tornato “quaggiù”.
Da allora, oggi è la prima volta che lo rivedo. Riparto proprio da quella domanda. Menisco rotto: carriera finita e come si dice? Si torna a casa! Sembra una storia passata, ormai. Mi racconta, invece, aneddoti simpatici sul suo fidanzamento, mi fa ridere. È lo stesso Luca di allora. Poi cambia tono. Si sono sposati, ma non avevano un lavoro. Hanno cambiato casa diverse volte, ospitati da parenti, zii, amici. Un giorno la moglie lo lascia e se ne torna dai suoi. Quando mancano soldi e lavoro è facile arrendersi. Si sono ritrovati in tribunale. Deve ringraziare un suo amico che lo ha portato in pellegrinaggio a Lourdes e da lì le cose sono cambiate. Niente più divorzio, ma tanti sacrifici, solo per un motivo, tenersi stretta l’unica cosa che conta veramente: la famiglia.
La realtà è dover buttare nell’immondizia più di trecento euro di vecchi libri di scuola del primo figlio perché nel frattempo, nel giro di due anni,la Geografia,la Matematica, l’Italiano ela Scienzasembra che siano cambiate in modo così drastico che occorre ricomprare libri nuovi al secondo. Quando ricomincia la scuola non è proprio un bel giorno… Per fortuna i suoi figli non sono come lui che non studiava, che era uno scapestrato, che si faceva bocciare. Per fortuna loro sono studenti modello. Vorrebbe tornare indietro e dare ai suoi genitori le gioie che i suoi figli danno oggi a lui. Lo dice con l’orecchino al naso, mentre mette del tabacco su una cartina.
Anche la scuola puzza. Puzza di banchi vecchi, pareti sporche, di lavagne antiche e di gessetti bianchi. Io lo chiamo profumo di vita vera. Poi scopri che in tv e su internet gira uno spot promosso dal Ministero dell’Istruzione e dal suo ministro Profumo, appunto. Un video che parla di sogni, di desideri, che la scuola aiuta i giovani a realizzarli. Tutte frasi belle e condivisibili pronunciate da Roberto Vecchioni. Nel video le pareti sono bianche, le stanze luminose, i banchi nuovi e moderni, gli studenti hanno l’I-pad, la lavagna è digitale. La prima domanda che viene in mente a vederlo è: ma questa scuola esiste? Dov’è? Sì esiste: è una scuola privata tedesca in Italia, dicono dal Ministero. A questa risposta si sono indignati in molti: le belle parole diventano una presa in giro quando chi le promuove è fuori dalla realtà. Per essere credibili bisogna stare dentro la realtà e oggi Luca mi sta insegnando questo. Lo guardo e io che uso sempre belle parole, che mi faccio testimone di vita mostrando la parte migliore di me, mi accorgo di non essere mai vero fino in fondo, mi accorgo di non puzzare di realtà. Mi accorgo di essere come quello spot patinato: apparentemente bello, ma talmente lontano dalla vita che non può muovere nessun sentimento.
“La mattina, la prima cosa che faccio è il segno della croce e ringrazio il Signore di essere vivo, poi penso subito ai debiti e mi vengono le preoccupazioni. Quello che conta però è che siamo ancora qui” mi dice. Scopro una fede sincera, fatta di segni, di parole semplici che io ho perso da tempo. Quella fede di cui ci parla Benedetto XVI: “Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani.” (Udienza Generale del 24 ottobre 2012 – Che cosa è la fede?) Perché anche la fede per essere credibile deve stare dentro la realtà.
“Il fine settimana mi capita spesso di dire a casa che non possiamo uscire perché poi non ho la benzina per andare a lavoro. Devo fare questi conti qui”, mi dice Luca non perdendo mai il sorriso ed è questo sorriso che dà un profumo alla realtà. Per sentirlo occorre tornare sulle piazze, fermarsi dopo la messa davanti al sagrato della chiesa, recuperare luoghi di aggregazione, incontrarsi, confrontarsi e soprattutto ascoltare. Perché ascoltare è la prima azione che compie chi ama. Invece noi, io, desideriamo essere sempre protagonisti nel dire e nel fare. Ci piace più parlare per frasi belle che per frasi vere. Invece dovremmo semplicemente guardarci intorno e ascoltare. Solo dopo che abbiamo lasciato parlare la realtà, solo dopo che ci siamo fatti appuzzire dalla realtà, allora dobbiamo rispondere alle sue esigenze e sporcarci le mani di vita vera.
Adesso piove. Luca ed io restiamo a parlare ancora un po’, mi mostra le gomme usurate dell’auto che non può cambiare. La pioggia diventa insistente. Ci salutiamo.
“Ah per la cena con i vecchi amici chiamami. Ricordati però: mai a fine mese…”
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