“Nessuna distruzione e nessuna ingiustizia sono mai inevitabili. I crimini che si stanno commettendo nel nostro tempo, al nostro cospetto, hanno volti e nomi di vittime precise, uomini e donne come noi, bambine e bambini come le nostre figlie e i nostri figli”. E’ quanto scrive Marco Tarquinio, direttore del quotidiano “Avvenire” riferendosi alla città siriana di Aleppo, assediata da quasi tre anni e al centro di violenti combattimenti che costringono la popolazione a vivere in condizioni umane drammatiche come rivela un rapporto-choc di Amnesty international. “Crimini compiuti nella nostra indifferenza e persino con la nostra complicità”, scrive il direttore, che diventano “insopportabili proprio perché possono essere fermati, possono essere capovolti in atti di umanità, di civiltà, di giustizia”.
Per Tarquinio, infatti, “non possiamo accontentarci di ‘non far crescere di più’ la guerra di Siria. Certo, sappiamo quanto sia difficile farla finire, e tanto più ora che s’è inestricabilmente legata alla vicenda dell’autoproclamato Stato islamico, ma sappiamo anche che le guerre finiscono solo quando cominciano i gesti di pace. Così deve essere e così può essere”. “È possibile – sostiene Tarquinio – impegnare il mondo e ‘costringere’ le parti in guerra ad aprire corridoi umanitari. È possibile far tacere le armi. È possibile fermare la distruzione. È possibile ascoltare la sofferenza, la fame e la sete della gente innocente. È possibile pretendere la ricostruzione di una città che fu splendida per il suo tessuto urbano e per la convivenza tra cittadini differenti e uguali, affratellati da una cultura del rispetto costruita con sapienza e pazienza. Aleppo – conclude il direttore – non può diventare il simbolo di una devastante sconfitta dell’umanità. Chi lo permette ne è il responsabile. E noi non possiamo ignorare la parte che ci spetta”.
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