A qualche minuto dal fischio d’inizio, il mister mi chiama e mi fa sedere in panchina.
Da lì la partita si vede in modo diverso.
Me ne accorgo appena il gioco riprende. La nostra squadra lotta su ogni pallone, come se in palio ci fosse la Coppa dei Campioni.
Mi tornano in mente le partite al campetto, quando ci si accendeva per una punizione o un calcio di rigore o un goal irregolare. C’era sempre uno che, a un certo punto, ostentando magnanimità e maturità, diceva: «Avete ragione voi! Prendetevi questo goal: tanto mica c’è in palio lo scudetto!».
Ed era vero: non si vinceva lo scudetto, ma la buona riuscita del gioco richiedeva a ciascun giocatore di dare il massimo e la partita si animava, si colorava di un inaspettato agonismo.
Succede perché il gioco va interpretato in modo serio sia che si stia giocando nel piccolo campetto parrocchiale, sia che ci si trovi a giocare su un campo regolamentare. Altrimenti non ci si diverte. La coscienza di essersi misurati contro un avversario di buon livello, che ha messo in campo tutta la sua abilità e bravura, dà soddisfazione, anche quando la partita non si è conclusa con una vittoria.
Nel frattempo sul terreno di gioco un pallone si alza a campanile e Lorenzo sale in alto per colpirlo di testa, anticipando l’avversario. Per un momento sembra aver vinto la forza di gravità e colpisce il pallone allontanandolo dall’area di rigore, ma poi non può evitare di tornare a terra cadendo in modo scomposto. Guardo il mister e gli dico: «Così si fa male!». Lorenzo si rialza dolorante, ma riprende a giocare.
Guardo e imparo a partecipare all’azione, a concentrarmi su quello che sto vivendo senza anticipare il futuro, senza distrarmi proiettandomi verso ciò che potrebbe accadere dopo. Ora devo ascoltare, pensare, vivere, accompagnare,… domani penserò, ascolterò, accompagnerò, vivrò qualcos’altro.
I ragazzi stanno dando il massimo in questa ultima partita; il primo posto è ormai lontano, ma non mancano grinta ed entusiasmo! Nessuno vuole stare a guardare e si corre dietro ogni pallone.
Del calcio visto in TV mi è rimasto in mente ben poco: non ricordo i goal di Van Basten e saprei descrivere a memoria soltanto il goal di Maradona contro l’Inghilterra, quando partì da centrocampo e il goal di Pelé nel film Fuga per la vittoria. Ricordo bene, invece alcuni episodi di calcio giovanile o parrocchiale. Ricordo le giocate di un mio compagno di squadra nella storica Unione Sportiva Folgore, società di calcio di San Benedetto del Tronto; le partitelle in seminario coi professori di teologia; la rovesciata di un ragazzo della mia parrocchia durante un torneo parrocchiale: gesto atletico perfetto e palla che si stampa sulla traversa a portiere battuto.
E adesso nell’album dei ricordi incancellabili entra l’ultima partita del campionato CSI under 16 del Real Ripatransone, una squadra sognata dai ragazzi della parrocchia che è diventata reale e … regale!
È stata Real non perché ha sbaragliato gli avversari imponendo il suo gioco, ma perché s’è battuta con correttezza e lealtà diventando squadra Domenica dopo Domenica!
Questo dovrebbe essere il senso dello sport praticato in parrocchia: un’occasione per aiutare i ragazzi a conoscersi, stimarsi, sostenersi a vicenda e raggiungere un obiettivo comune imparando a fidarsi dei più grandi, che si sono messi generosamente a disposizione per allenarli e accompagnarli nelle partite in casa e nelle trasferte.
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