Non ama la cravatta, come Alexis Tsipras. Ma, a differenza del premier greco, Selahattin Demirtas crede nell’Unione europea, che vede come un salvagente di democrazia e diritti, specie per le minoranze come la sua: i curdi che vivono in Turchia. Eppure il giovane leader di Hdp, il partito “Pace e democrazia” che ha tagliato la strada alle mire presidenzialiste e autoritarie di Recep Tayyip Erdogan, ha saputo andare oltre la stretta cerchia curda e in Parlamento, dove arriva con quasi il 13% dei consensi e 80 deputati, porta le attese di tante minoranze, riunite sotto la bandiera del no al Sultano Erdogan e del sì a progresso, libertà, diritti fondamentali, Europa.
Il giovane leader, modesto eppure carismatico, tollerante e sorridente, comunicativo benché piuttosto schivo, con alle spalle un buon numero di anni di attività politica, porta ad Ankara tante altre composite minoranze vessate dall’Akp, partito islamico (un tempo moderato) del presidente. Dagli armeni agli yazidi, dagli alevi ai siriaci, fino a non pochi cristiani hanno creduto nell’avvocato curdo paladino dei diritti umani: che attorno a sé ha pure aggregato i ragazzi di Gezi Park, le élites culturali, le associazioni omosessuali, una parte dell’imprenditoria che vuol continuare a fare affari con l’Europa, e soprattutto le donne, la metà dell’elettorato, che in Turchia vivono una situazione di reale, quotidiana discriminazione e sopraffazione.
Demirtas è sulla scena da anni. Ha saputo superare gli steccati creati attorno ai curdi, autorelegatisi in un angolo per via del sostegno al Pkk di Ocalan. Ebbene, Demirtas non ha rinnegato nulla dell’identità e delle battaglie civili del suo popolo, ma al contempo ha ampliato gli orizzonti e, così, ha raccolto le speranze di chi teme una Turchia nelle mani dell’islamismo radicale.
Per Demirtas si sono già sprecati improponibili paragoni: oltre a quello con Tsipras, sono giunti accostamenti con Obama, con i Podemos spagnoli, addirittura con Gandhi. Ora il Paese euroasiatico si confronta con i consueti passaggi istituzionali, a partire dal tentativo dell’Akp di formare un governo pur non avendo più la maggioranza assoluta in Parlamento (il partito di Erdogan ha avuto oltre il 40% dei voti con 255 deputati su 550,perdendone 72 rispetto alle elezioni del 2011; i kemalisti sono al 25%, con 133 deputati; i nazionalisti di Mhp hanno il 16% e 82 deputati e forse da questi potrebbe arrivare una stampella per un governo a guida Akp). Sarà il tempo invece a dire se Demirtas può diventare un leader di caratura nazionale: dipenderà da lui stesso, dallo spazio che Erdogan lascerà al gioco democratico, e – non di meno – dalla moderazione dei milioni di curdi-turchi che sono comunque il suo primo riferimento politico.
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