È stato un frate “semplice e gioioso”, che frequentava la casa di famiglia durante le vacanze, a farlo innamorare della vita francescana. Ma l’esempio da seguire è arrivato dal nonno Pepe, di cui porta il nome, rimasto vedovo assai giovane e con quattro figli da crescere. Era un contadino della Galizia che ripeteva ai nipoti: “La parola è come un testamento: prima di pronunciarla si pensa, pronunciata si compie”. Per monsignor José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, la vocazione è nata in famiglia: “Ricordo il giorno in cui scrissi ai miei genitori da Gerusalemme per informarli della professione solenne. Mia madre rispose: ‘Figlio, siamo felici che diventi frate ma se vedi che il Signore non ti chiama a quella vita torna. Sarai accolto con amore’. Questo senso di libertà mi ha accompagnato per sempre”. Incontriamo l’arcivescovo mentre è in piena attività per l’organizzazione di uno degli eventi più attesi dell’Anno della vita consacrata: l’incontro mondiale per giovani consacrati e consacrate in programma a Roma dal 15 al 19 settembre.
La Santa Sede si mette in ascolto dei giovani che scelgono la vita religiosa?
“Quando abbiamo iniziato a programmare gli eventi per l’Anno della vita consacrata, i giovani sono stati il primo pensiero: non perché siano il futuro della vita consacrata ma perché sono il presente. Parleremo di temi fondamentali quali la consacrazione, la vita fraterna e la missione. I giovani saranno chiamati a raccontare gioie e speranze. Ne attendiamo almeno 5mila da tutto il mondo”.
Eppure ci sono difficoltà per un giovane che sceglie di consacrarsi…
“L’impegno fino alla morte, il ‘per sempre’, non è facile da comprendere. La famiglia è la prima realtà a soffrire di questa cultura della temporaneità. Bisogna capire che la vocazione alla vita consacrata esige una risposta incondizionata e definitiva. C’è poi una difficoltà generazionale. In tante comunità e istituti la piramide dell’età è rovesciata: pochi giovani e tanti anziani. Ma la Chiesa oggi chiede una fedeltà creativa, e questo non è possibile senza l’esperienza e la memoria degli anziani e la novità dei giovani. È necessario un dialogo esistenziale tra gli uni e gli altri”.
Chi sceglie la vita consacrata deve anche ridefinire le priorità…
“A volte non ci si basa sugli elementi fondamentali della vita consacrata ma su aspetti minori. Si confonde l’essenziale con il secondario. All’inizio tutto è essenziale ma con il passare del tempo il rischio è che tutto diventi secondario. La sfida è rafforzare un’identità che trovi la sua unità negli elementi essenziali della vita consacrata: voti, fraternità e missione. È necessaria profonda unità su questi punti e libertà sul resto”.
Papa Francesco affida ai consacrati il compito di “svegliare il mondo”. Che ruolo hanno i giovani?
“La maggioranza dei consacrati, in particolare i giovani, vive la vocazione con gioia. Non dimentichiamo quello che amava ripetere Papa Benedetto XVI: ‘Un albero che cade fa più rumore di tutto un bosco che cresce’. C’è peccato e c’è infedeltà nella vita consacrata, anche tra i giovani. Ci sono abbandoni. Però guardiamo a quelli che si mantengono in piedi, che hanno grande generosità nel donarsi, che amano il rischio di portare il Vangelo nelle periferie più periferiche. I giovani consacrati oggi, anche se sono inferiori di numero, non hanno meno significatività evangelica”.
Dunque c’è speranza per il futuro?
“Questo è il momento della speranza. Non parlo di ottimismo perché le nostre forze come consacrati diminuiscono, dobbiamo lasciare presenze significative e opere portate avanti con sacrificio. Ma l’ottimismo non è una virtù evangelica mentre la speranza si fonda in Colui per il quale nulla è impossibile. I motivi per sperare ci sono. Basta osservare il numero di canonizzazioni o i martiri della Chiesa: tantissimi sono consacrati. E poi tanti consacrati abitano le periferie esistenziali. Se guardiamo ai giovani, dunque, c’è speranza: loro sono coraggiosi testimoni della sequela di Cristo”.
Spesso si parla della vita religiosa come rifugio dal mondo…
“Dobbiamo essere attenti. La tentazione c’è, non si può negare. Per questo occorre discernimento e grande vigilanza delle motivazioni vocazionali. È un compito a cui siamo chiamati sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri, perché le tentazioni sono universali. Tanti giovani e adulti che si avvicinano alla vita consacrata, però, sentono una vera chiamata. Umanamente parlando la loro vita è risolta: hanno una professione, studi qualificati, posti di lavoro importanti. Eppure lasciano tutto per seguire Cristo. È indicativo che tante comunità monastiche di vita di clausura abbiano vocazioni di giovani che vengono da università e contesti sociali agiati”.
Cosa si attende la Chiesa dai consacrati?
“Che abbiano passione per l’umanità, soprattutto per i più poveri, i sofferenti e gli emarginati. Quelli che non contano e che Papa Francesco mette invece al primo posto parlando di ‘cultura dello scarto’. Gratitudine, passione e speranza sono le tre sfide per i consacrati. Se aggiungiamo due parole, Vangelo e profezia, abbiamo una cornice completa di quello che gli uomini e le donne si attendono dai consacrati del terzo millennio”.
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