La battaglia della Turchia contro il terrorismo si gioca anche sul filo del web. A farne le spese, però, non sono i jihadisti ma la libertà di espressione. Nelle ore immediatamente successive all’attentato di Suruc in cui hanno perso la vita 32 giovani per mano di un kamikaze, il governo turco ha bloccato l’accesso a Twitter. Lo stop è durato poche ore. Quelle necessarie, dicono le fonti ufficiali governative, a rimuovere alcuni contenuti inneggianti all’odio e impedire agli utenti di mostrare o vedere le immagini del terribile attentato in rispetto delle vittime. Subito dopo il massacro di Suruc, il mondo dei social aveva reagito con un fluire mondiale di post e tweet. Avevano colpito soprattutto le immagini del selfie di un gruppo di giovani curdi. Visi di ragazzi e ragazze sorridenti che hanno conquistato i social di tutto il mondo. Un effetto di cassa di risonanza che evidentemente ha allarmato il governo di Erdogan. Che la situazione sia incandescente e grave lo dimostra anche il fatto che la Nato si riunirà domani a Bruxelles su richiesta della Turchia, per discutere le operazioni militari contro l’Isis e i curdi separatisti del Pkk. I raid aerei contro lo Stato Islamico in Siria e il Pkk curdo in Iraq sono cominciati la scorsa settimana e proseguono tra arresti di persone sospettate di terrorismo e vittime sul campo. Mustafa Edib Yılmaz è editorialista e responsabile della redazione esteri di “Zaman”, il quotidiano più letto in Turchia, vittima lo scorso anno di una vasta operazione di polizia che ha portato all’arresto di vari esponenti politici e giornalisti tra cui il direttore del giornale.
Perché il tribunale di Suruc, nel sud-est della Turchia, ha messo al bando la pubblicazione di foto e video sull’attentato su Twitter?
“È stata presentata come una misura di precauzione per impedire qualsiasi propaganda del terrorismo. È durato un periodo breve e una volta che diversi contenuti sono stati rimossi dalla rete, i vari siti di micro blogging sono stati riaperti”.
Perché le reti sociali spaventano così tanto le autorità turche?
“Perché le autorità sono in grado di controllare quasi tutti i media tradizionali, sia i giornali che le televisioni. Quello che non riescono a controllare sono i social media. E l’unico modo per farlo, è chiudere i servizi. Sembra che hanno molto da nascondere alla gente”.
È un segno della difficoltà di combattere la minaccia del terrorismo?
“Sì, può essere interpretato in questo modo. Noi ancora non sappiamo quanto il gruppo terroristico dell’Isis sia penetrato nel suolo turco. Non sappiamo su quanti militanti l’Isis può contare sul territorio nazionale, quante sono cioè le persone pronte a colpire una volta che ricevono l’ordine di farlo. In un ambiente così incerto e poco sicuro, il governo è spinto dalla necessità di mettere in atto misure che possono sembrare eccessive”.
Le foto delle giovani vittime dell’attentato di Suruc hanno fatto il giro del mondo proprio grazie alle reti sociali come Twitter e Facebook. Credi che sia possibile chiudere i social networks per garantire sicurezza nel Paese e controllo?
“Ovviamente no. La lotta al terrorismo non può essere fatta attraverso la censura. Il governo deve mettere più impegno in quello che dovrebbe realmente fare per combattere la violenza”.
I giornalisti turchi sono preoccupati per la libertà di stampa nel loro Paese?
“Siamo molto preoccupati. Ogni giorno la libertà di stampa riceve un colpo direttamente o indirettamente da questo governo”.
Come possono la comunità internazionale e i giornalisti europei aiutare la Turchia a incamminarsi verso una vera democrazia?
“La solidarietà professionale potrebbe funzionare. È sempre una buona idea avere consapevolezza di quanto avviene in Turchia e fare pressione sui propri governi perché vengano rispettati i principi stessi che le autorità del governo turco dicono di sostenere. La critica politica interna, quando è resa pubblica, a volte è controproducente. Per questo è preferibile agire dietro le quinte, premendo piuttosto sui governi europei, l’Unione europea e la comunità internazionale”.
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