LambertNaima, siriana 32enne, potrebbe ad esempio trovare posto con i suoi due bambini nell’ufficio dell’eurodeputato polacco Jurek. L’algerino Ammar, panettiere di 23 anni, alloggerebbe negli spazi abitualmente assegnati alla deputata finlandese Killönen. E l’ivoriano Mekeme, agricoltore 19enne, andrebbe a collocarsi nel bureau dello spagnolo Blanco Lopez. Sistemazioni provvisorie, certo, ma comode, al riparo dalle intemperie, e politically correct.
Una sorta di campo profughi emergenziale collocato all’interno della sede strasburghese dell’Europarlamento. L’idea – provocatoria ma non troppo – è venuta al capogruppo dei Verdi, Philippe Lamberts, che l’ha proposta durante la sessione plenaria del 9 settembre. “Questo Parlamento in cui oggi siamo riuniti è occupato per 4 giorni al mese, cioè meno di 50 giorni l’anno. Nei restanti 300 giorni più di 750 uffici dei deputati europei, tutti riscaldati e dotati di bagni e docce individuali, restano vuoti”. In effetti il Parlamento Ue svolge le sedute plenarie, della durata di quattro giorni, nella sede di Strasburgo, che è quella ufficiale secondo i Trattati. Per il resto dei lavori (commissioni parlamentari, riunioni dei gruppi politici, audizioni e altro) ci si ritrova negli edifici di Bruxelles. Una “stranezza”, secondo molti; uno spreco di soldi per altri (che magari sottovalutano un po’ la portata simbolica della collocazione del Parlamento europeo a Strasburgo, città che storicamente rappresenta la conciliazione franco-tedesca e il processo di pace e di integrazione comunitaria avviato dopo le tragedie della seconda guerra mondiale).
Lamberts insiste: “Proponiamo che questa ‘residenza secondaria’ del Parlamento europeo, perfettamente attrezzata, sia messa a disposizione per l’accoglienza dei rifugiati e che le sedute plenarie vengano tenute a Bruxelles”. Per il politico-ecologista, formatosi all’Università cattolica di Lovanio, si tratterebbe di “una misura concreta che permetterebbe alla nostra assemblea di unire l’azione alle parole, dimostrando con i fatti il nostro attaccamento ai principi di solidarietà e dignità umana”.
Un ragionamento controcorrente, dunque, ma coraggioso. Negli uffici dove solitamente si definiscono le direttive europee, nell’emiciclo dove si “costruisce la casa comune” e dove si prova a rispondere alle sfide globali, migrazioni comprese, troverebbero casa i disperati che fuggono da guerra, fame e dittature. Quanti cittadini, in Europa, voterebbero contro a un simile provvedimento?

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