Sono centinaia (e continuano ad arrivare) le esperienze e i contributi che diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti hanno inviato al sito (www.firenze2015.it): storie di umanesimo in atto, di Vangelo vissuto, distribuite su tutto il territorio nazionale, come la mappa mostra chiaramente.
La “famiglia di famiglie”, il “popolo dai mille volti” che, nelle belle espressioni di Papa Francesco, costituisce la Chiesa, racconta il proprio modo di affrontare le sfide del presente: non difendendosi, ritirandosi nei pochi – ormai – territori protetti, ma uscendo verso la realtà, soprattutto dove è più dura, e abitando le situazioni, anche le più critiche, in modo originale, solidale, consapevole del proprio limite e, per questo, aperto all’azione trasfigurante della grazia. Storie in cui si annuncia con la testimonianza e si educa non con le parole, ma camminando insieme. Storie semplici, ancorate alla dimensione locale e tuttavia non chiuse nel loro “particolare”. Il Vangelo, infatti, si è incarnato in uno spazio e in un tempo, e questa concretezza non è un limite, bensì una componente essenziale dell’annuncio. In una cultura come la nostra di oggi, che oscilla tra l’astrazione estrema della tecnica, il suo prescindere totalmente da ogni concretezza (tanto che si arriva a parlare di “neutro” come modello di identità) da una parte e il particolarismo difensivo e inospitale dei localismi dall’altra, le esperienze raccontate e raccolte sul sito hanno un valore “esemplare”: parlano di situazioni specifiche, ma lasciano trasparire qualcosa di molto più grande, che ci riguarda tutti, che ci unisce e ci definisce come membri di un’unica famiglia. Qualcosa che ha a che fare con il significato dell’espressione “essere umano”. Ci sono diverse vie possibili per affrontare l’importante e irrinunciabile sfida culturale che l’epoca presente, con la sua piegatura verso il post-umano, pone, e non solo ai credenti. La via scelta dal convegno di Firenze non è partire dal “dover essere”, ma da ciò che già c’è: la bellezza dell’umano che si esprime nell’esperienza, illuminata dalla Parola.
La realtà è superiore all’idea. È paradossale che una fede che ha al centro l’Incarnazione sia così tiepida nei confronti della realtà, dei luoghi dove la Parola, prendendo carne, può dare frutto. Al massimo si cita qualche “buon esempio”, qualche “prassi virtuosa”, ma il centro del discorso (nella catechesi, nella predicazione, nell’educazione, nel discorso pubblico) tende a restare su un piano ideale. Per questo è provvidenziale il richiamo che Papa Francesco rivolge nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: la realtà è superiore all’idea! “Questo criterio eÌ legato all’incarnazione della Parola e alla sua messa in pratica (…) Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione (…). Realizzare opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda (EG 233)”. Ecco che allora, di fronte a quel nodo di criticità che ormai comprendiamo sotto il termine-ombrello di “crisi”, le comunità locali con i loro pastori riescono a dare carne alla “fantasia della carità”, rispondendo alle difficoltà con soluzioni che in tanti casi potrebbero anche essere prese a modello per azioni istituzionali di più ampia portata. Gli ambiti sono i più diversi: dall’emergenza lavoro a quella educativa, dall’accoglienza dei migranti alla custodia del creato. Prima ancora che si parlasse di Sinodo sulla famiglia, dalle diocesi sono arrivate esperienze sul sostegno alle famiglie in difficoltà da parte di altre famiglie, sui percorsi d’inclusione dei separati, sui cammini di accompagnamento e prossimità verso chi ha sperimentato il fallimento della propria storia familiare. Nessuna pretesa di risolvere i problemi, nessuna ricetta, ma uno “stare accanto” che trova forza ed energia nella condivisione e nella luce della Parola.
La pienezza e il limite. La consapevolezza del limite, che pure è presente, non diventa un alibi alla rassegnazione, mentre il radicamento nella concretezza previene il rischio di un moralismo a buon prezzo. Lo scrive anche Papa Francesco: “Vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite” (EG 222). Un limite che non si supera individualmente, magari grazie al potenziamento di sé che la tecnica rende oggi possibile, e sempre più accessibile; piuttosto, attraverso la contribuzione di tutti (tutti, ma proprio tutti hanno qualcosa da dare!) e l’affidarsi, l’aprirsi fiducioso alla forza della grazia che è capace di trasfigurare il nostro poco. L’evangelica moneta della vedova è la base del nostro “capitale di umanesimo”. Le esperienze raccontate dai territori rispondono in modi diversi, ma tutti preziosi, all’invito di Papa Francesco in EG 223: “Iniziare processi… privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino”.
Tutto è connesso. Uno dei mali della nostra cultura è la iperspecializzazione, è più in generale la frammentazione dei processi, che fa perdere lo sguardo d’insieme, e soprattutto il senso. Se c’è un nucleo fondamentale dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” è il paradigma della connessione: “L’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra” (LS 66). O, detto con una formula più sintetica, “tutto è connesso” (LS16). Non si possono affrontare le tante emergenze e sfide senza riconoscere che le questioni sono intrecciate e che le soluzioni settoriali hanno fatto il loro tempo. Ancor prima dell’uscita dell’enciclica, il richiamo a valorizzare le sinergie, le alleanze, le interconnessioni tra i diversi ambiti è un elemento emerso chiaramente dalle esperienze inviate al sito dedicato all’appuntamento di Firenze. Con un effetto paradossale e sorprendente: a volte il mettere insieme fragilità diverse produce una forza nuova. Per esempio, è vero che la famiglia è in crisi, ma se si apre all’accoglienza di chi si trova in situazione di svantaggio ritrova una spinta che la sostiene. È vero che ci sono tanti terreni abbandonati, che diventano luoghi di degrado, ma se ci si attiva in rete per coltivarli si risolve, oltre al problema della sicurezza, quello del lavoro e dell’inclusione dei migranti. Anche la pastorale beneficia del superamento della frammentazione: familiare, giovanile, del lavoro… Belle le testimonianze di operare congiunto che sono arrivate al sito. L’umanesimo della Chiesa di oggi non può che essere “integrato e integrante”. (LS 141).
Il convegno è già iniziato, e non finirà il 13 novembre. Proprio perché tutto è connesso, e “il tempo è superiore allo spazio” (EG 222), il convegno di Firenze non terminerà a Firenze. Intanto, il con-venire è già iniziato: a partire dall’Invito del comitato di presidenza, che ha inaugurato il cammino verso Firenze, e grazie alle possibilità di partecipazione e contribuzione offerti dalle piattaforme digitali, si sono messi in moto processi finora inediti, che auspicabilmente rappresentano un punto di non ritorno: basti pensare che la quasi totalità del materiale che anima il sito è prodotto dalla base della Chiesa. Il problema del dopo convegno, che finora non ha trovato soluzioni, può essere affrontato diversamente proprio grazie al sito: sono il coinvolgimento e la condivisione, che già hanno dato buoni frutti, a offrire la prospettiva in cui muoversi. E il sito è il territorio, pieno di contenuti molto reali, su cui continuare a incontrarsi per condividere il cammino che si è messo in moto. Un archivio, aggiornato, del presente. Non solo un elenco di buone pratiche, ma il racconto, da condividere, di quell’umanesimo che è già in atto e va riconosciuto, coltivato, fatto fiorire. Per il bene di tutti, non solo dei credenti.
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