“La malattia, soprattutto quella grave, mette sempre in crisi l’esistenza umana”. Sono le parole di Papa Francesco nel Messaggio per la XXIV Giornata mondiale del malato che si svolgerà nel 2016. Tutto l’uomo è scosso e, quasi, rifatto: quello che nella salute gli appariva importante, ora, nella malattia non è più tale; quello che era normale, quasi scontato ora non è più tale. Attività quotidiane vengono svolte con fatica e si accorge di avere bisogno degli altri più di prima. Addirittura, sembra di entrare in un mondo diverso, rispetto al quale quello precedente è lontano: un mondo dove, non di rado, si sperimenta l’emarginazione. Sì, l’esistenza umana è davvero scossa.
L’uomo rientra in se stesso e si pone domande che lo scavano in profondità: perché è capitato proprio a me? È la fase della ribellione, durante la quale non si accetta la prova. E, poi, sorge un altro interrogativo, più semplice e più profondo: perché? È una domanda circa la causa, la ragione della malattia, e insieme un interrogativo circa il suo scopo, in definitiva, circa il senso stesso. Una domanda cui è particolarmente difficile rispondere e taluni proprio non vi riescono, al punto da ritenere che la malattia e la sofferenza, semplicemente, non abbiano alcun senso.
Successivamente, la domanda è posta a Dio, come al Creatore e al Signore del mondo. Non di rado l’esito di questa domanda giunge, addirittura, alla negazione stessa di Dio. Se Dio c’è ed è buono, perché il male? Papa Francesco sintetizza che nella situazione della malattia “la fede in Dio è messa alla prova”. Al contrario, se la fede è autentica, “rivela tutta la sua potenzialità positiva”. Dipende dall’idea di Dio che l’uomo possiede: se l’immagine è quella di un Dio che debba mettere a posto tutte le cose, allora la malattia e, più in generale, il male sembrano limitare il suo potere.
La questione riceve dalla divina Rivelazione una prospettiva totalmente diversa ed impensabile: il Figlio di Dio, divenuto carne, ha preso su di sé la sofferenza. Durante la sua attività pubblica provò non solo la fatica, la mancanza di una casa, l’incomprensione persino da parte dei più vicini, ma, più di ogni cosa, venne sempre più circondato da un cerchio di ostilità e divennero sempre più chiari i preparativi per toglierlo di mezzo dai viventi. Cristo è consapevole di ciò, e molte volte parla ai suoi discepoli delle sofferenze e della morte che lo attendono. Ora, proprio per mezzo di questa sua sofferenza compie l’opera della salvezza. La novità della fede cristiana è questa: Dio ha conosciuto personalmente la sofferenza, non si è sottratto di fronte alla morte e per questo è vicino ad ogni uomo che è provato.
La fede non fa sparire la malattia, il dolore o le prove; neanche tacita le tante domande. La fede “offre – continua il Santo Padre – una chiave con cui possiamo scoprire il senso più profondo di ciò che stiamo vivendo; una chiave che ci aiuta a vedere come la malattia può essere la via per arrivare ad una più stretta vicinanza con Gesù, che cammina al nostro fianco, caricato sulla croce”. Se questa è l’esperienza religiosa che vive chi è nella malattia, quali sono le responsabilità dei sani?
Essere segno concreto della misericordia di Gesù, che si è chinato con amore su coloro che soffrivano. L’agire misericordioso di Gesù, buon Samaritano, diviene il criterio: oggi buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Buon Samaritano è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui e si impegna a sollevarlo.
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