GAZA – “Quello che mi ha colpito in questi giorni è il fatto che nessuno urla: non ho mai sentito un urlo di paura. Perché la paura è così forte, che ti agghiaccia e non riesci a reagire, a emettere suoni. Dopo un periodo di silenzio, cerchi di riparlare e muoverti normalmente. Ma all’inizio senti dentro il ghiaccio. Dopo il rombo fortissimo della bomba, ti guardi attorno, ti accerti se sei ancora vivo, se è crollato qualcosa. E poi reagisci”. A parlare è F.S., italiana che da circa 10 anni vive in un Focolare della Terra Santa. Per motivi di sicurezza preferisce rimanere nell’anonimato. Faceva parte del gruppo di cooperanti rimasti bloccati a Gaza. Quando le condizioni di sicurezza lo hanno consentito, il gruppo è stato fatto salire su un apposito convoglio richiesto dall’Unità di crisi e dal Consolato generale a Gerusalemme e organizzato dal dispositivo Unrwa delle Nazioni Unite. Maria Chiara Biagioni, per il Sir, l’ha raggiunta telefonicamente per chiederle di raccontare che cosa ha visto a Gaza.
Ma perché eravate a Gaza?
“Eravamo lì in tre dei Focolari. Andiamo a Gaza ogni 3-4 volte all’anno per trovare la nostra comunità. Loro non possono uscire con facilità e per andare ci vuole un permesso speciale. È come una frontiera che per attraversarla è richiesto un visto. Siamo, quindi, arrivati di mattina, mercoledì 14 novembre, e la situazione era tranquilla ma, dopo circa due ore, abbiamo saputo che era stato ucciso uno dei capi di Hamas. E quello ha scatenato tutto”.
E cosa è successo a quel punto?
“Ci sono stati bombardamenti continui di notte. Di notte in continuazione. Di giorno, invece, c’era qualche tregua anche perché abbiamo saputo che erano arrivati alcuni ministri stranieri, dall’Egitto e dalla Turchia, per mediare e cercare di porre fine a questi scontri. Quindi di giorno fino al pomeriggio era un po’ più tranquillo. Poi di notte i bombardamenti riprendevano”.
E cosa succedeva?
“Quando abbiamo sentito il primo bombardamento, eravamo in un appartamento al quarto piano di un palazzo. Abbiamo sentito prima del rumore, e poi come una forte scossa. Per cui eravamo convinti che si trattasse di un terremoto. Allora siamo scesi di sotto. Non ci sono rifugi anti-aerei, non ci sono allarmi. Non c’è niente, è tutto molto precario. Per cui siamo stati quasi sempre dentro questo appartamento a piano terra con una famiglia. Quello che si sente, dipende da quanto è lontano o vicino il missile che arriva. È come un terremoto e poi l’esplosione”.
Quanto duravano i bombardamenti?
“C’erano momenti più intensi con scariche che duravano 4-5 minuti. Poi una pausa. Poi riprendevano. Ma lì il tempo sembra eterno, non passa mai”.
E che cosa si pensa durante quei 4 minuti?
“C’è sicuramente paura. C’è però anche la coscienza di essere nelle mani di Dio, per cui pensi che se devi morire, muori dove Lui ha pensato per te. E poi attorno a noi c’erano tante persone che conoscevamo. Era la comunità cristiana di Gaza, eravamo sempre in contatto con loro. Ed eravamo insieme: e questo stare insieme era l’aiuto più importante. Mi ha aiutato a superare la paura. La loro fede, il loro essere nelle mani di Dio, questa serenità. Non pensavano a se stessi o a nascondersi o a mettere da parte le provviste. Pensavano a noi. Ci tiravano su, ci dicevano che i bombardamenti erano guidati su punti strategici. Magari non era vero, ma ce lo dicevano per rincuorarci”.
Di giorno hai potuto girare per la città e cosa hai visto?
“No, noi non giravamo quasi mai. E nessuno lo fa. Solo una volta siamo uscite per andare a visitare una persona che sapevamo in difficoltà. Abbiamo visto un palazzo crollato, ma non abbiamo visto scene di feriti”.
La tv dava però notizia dei civili morti.
“Sì, sapevamo tutto. La televisione non c’era e guardavamo più che altro su Internet. Però neanche troppo, per non essere presi dal panico. Certo che ci sono scene bruttissime, perché se crolla una casa, è certo che la bomba distrugge tutto quello che trova e quindi anche le vite umane”.
Che idea ti sei fatta della guerra?
“È una cosa assurda e stupida. Sì, tocchi con mano la stupidità della guerra perché non serve a niente, fa solo aumentare l’odio. Quando vedi i bambini che muoiono, l’odio entra nei cuori delle persone. Forse è proprio questo lo scopo di questa guerra. Forse è una mia opinione. Ma questa guerra non ha altri scopi. Quando vedi negli occhi dei bambini la paura, davvero ti dici che la guerra è una assurdità”.
E i bambini?
“Noi eravamo in questa famiglia dove c’era un bambino. E avevamo portato dei colori. Gli abbiamo allora chiesto di farci un disegno. Allora lui ha disegnato un albero e una casa. E tra l’albero e la casa ha disegnato qualcosa che non capivamo. Gli abbiamo chiesto che cosa era, e lui ci ha risposto che era un missile. Abbiamo allora capito che la guerra era entrata ormai nella loro vita”.
Ma c’è una speranza?
“È una domanda in questo momento difficile, dopo aver vissuto… Secondo me così come sono adesso le cose, non vedo una speranza. La via della pace è la via del dialogo. Ma le posizioni sono forti, o tutto o niente. Nessuna delle due parti vuole cedere e, allora, in questa situazione non c’è speranza”.
Che cosa ti senti di dire da lì a chi ti legge dall’altra sponda del Mediterraneo?
“Quando sono uscita da Gaza, c’era una macchina che ci stava aspettando e che ci avrebbe portato fuori. E quando eravamo fuori, mi sembrava così strano vedere gente e macchine per strada. A un certo punto l’autista si è arrabbiato per una precedenza non rispettata. Questa cosa mi ha stupito, perché noi a volte perdiamo la pazienza e ci arrabbiamo per una precedenza e ora tutto mi sembra così vano”.
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